Omelia (08-07-2012) |
Wilma Chasseur |
Gesù profeta fuori patria Gesù affascinava con la sua parola, era un trascinatore, stava spopolando paesi e città per raccogliere le folle al suo seguito, contrariamente agli scribi e farisei che "con la loro attesa di un Messia che non arrivava mai, la loro monotona fedeltà a una legge di 613 precetti, la ripetitività di formule e divieti, non riuscivano certo ad entusiasmare le folle e a farle accorrere". (Sigalini)
Ma ecco che dopo tutto questo successo, Gesù torna a Nazareth, nella sua patria. E che succede? I suoi concittadini lo vedono tornare, vanno ad ascoltarlo alla sinagoga, il primo sabato, quando Egli và a dare il suo insegnamento e si scandalizzano addirittura di Lui. Ma cosa sta dicendo costui, il figlio del carpentiere, il figlio di Maria: La madre non è forse quella che vediamo andare al mercato, ad attingere acqua, ad impastare il pane come ogni buona massaia? E la famiglia non è forse quella che vediamo in sinagoga (oggi diremmo in chiesa) tutti i sabati?
Altri tempi, stessa storia! Nessuno è profeta in patria. Quei tempi erano dunque come questi. Ingabbiamo il divino; deve per forza rientrare nei nostri schemi, se no, in una realtà diversa, gli neghiamo la residenza! Molto spesso abbiamo occhi per non vedere e orecchie per non sentire.
Ma chiediamoci: allora c'erano i profeti (non riconosciuti, ma profeti lo stesso...) e ora? Esiste ancora la profezia? Esiste ed è accessibile a tutti; sapete qual è? E' quella interiore che ci rende capaci di riconoscere il bene altrui. E non solo di riconoscerlo, ma di evidenziarlo, di diffonderlo, di mettere la nostra gioia nel farlo conoscere. Così sfuggiremo al pericolo di perdere la ricompensa stessa del profeta perché "chi riconosce un profeta avrà la ricompensa del profeta". E sfuggiremo anche al pericolo di peccare contro lo Spirito Santo. |