Omelia (18-01-2004)
don Elio Dotto
La festa

Fare festa piace certo a tutti. Soprattutto piace a tutti immaginare i giorni di festa. Perché appunto così accade: finché è soltanto attesa ed immaginata, la festa appare sempre bella ed attraente; essa infatti fino a quel momento è segnata soltanto dal nostro desiderio. Quando però viene il giorno della festa - e dunque il desiderio si traduce in realtà - allora tutto sembra scorrere in fretta verso la sua fine, mentre i limiti si fanno evidenti.
Pensiamo soltanto alle feste nuziali: facilmente qui si sperimenta la fragilità della festa. Le parole dette, ad esempio, appaiano spesso inopportune o comunque in difetto rispetto alla solennità del momento; i gesti appaiono goffi e senza spontaneità, recitati più che vissuti; e la figura stessa delle persone appare quasi irreale, incartata com'è in un vestito nuovo che non le conviene... Tutto insomma sembra declinare...
Proprio così successe anche in quel tempo, allo sposalizio di Cana di Galilea, quando Gesù, sua madre e i suoi discepoli erano tra i convitati (Gv 2,1-12). «Non hanno più vino», disse allora la madre di Gesù: e in tal modo essa diede voce al timore degli sposi, i quali vedevano minacciata la gioia di quel giorno di festa, quasi che l'esaurimento del vino costituisse un cattivo presagio non solo per le nozze, ma per la vita tutta. Un simile imprevisto, infatti, non faceva che confermare la fragilità della gioia umana: la quale sempre appare precaria, nelle feste come nelle vicende quotidiane.
Ma davvero dobbiamo rassegnarci a smarrire sempre da capo la gioia che di volta in volta troviamo? È certo triste una prospettiva del genere: eppure sembra proprio che tutti facciano così, alla fine. «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po' brilli, quello meno buono». Tutti, cioè, cercano di sfruttare subito la gioia che hanno, perché tutti temono che essa in fretta finisca, e ci si debba poi arrangiare diversamente. Appunto, tutti vivono come se non ci fosse rimedio alla precarietà della gioia umana.
Eppure un rimedio ci deve essere. Così almeno pensava la madre di Gesù: essa infatti era certa che il Figlio potesse rimediare a quel difetto di gioia da tutti sperimentato. E con il suo ostinato intervento essa permise al Figlio di manifestare la sua gloria, di rivelare là, a Cana di Galilea, quella promessa di abbondanza che era rivolta all'umanità intera. Si avveravano così le parole del profeta Isaia (Is 62,1-5): «Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata».
Questa promessa si avvera anche oggi per noi, se soltanto siamo capaci di credervi con la stessa ostinazione della madre di Gesù.