Omelia (15-07-2012) |
Wilma Chasseur |
Il duro "mestiere" di profeta Ancora un profeta cacciato via: questa volta tocca ad Amos che si sente dire da Amasia: "Vattene veggente, và nella terra di Giuda (...) ma a Betel non profetizzare più" (prima lettura). Decisamente dura, la vita del profeta. Domenica scorsa vedevamo Gesù rifiutato dagli stessi parenti e familiari. E la conseguente tristezza e amarezza del Signore nel vedere l'incapacità dei suoi a riconoscere i segni di santità che emanavano dalla sua Persona divina. Oggi vediamo le condizioni necessarie al profeta per esercitare il suo ministero, ma non per diventarlo -che quelle non ci sono proprio- bensì per fare il "mestiere" di profeta.
Per diventarlo, le condizioni non ci sono nel senso che è un dono gratuito di Dio che chiama chi vuole senza aspettarsi o pretendere meriti da parte del chiamato: la grazia non fa esclusioni di persone, può toccare chiunque e a volte sembra proprio che le caratteristiche del profeta siano quelle della maggior inettitudine e incapacità. "Sono un uomo dalle labbra impure (Isaia)". "Sono giovane e non so parlare, manda qualcun altro" (Geremia). E la prima lettura di oggi ci presenta il profeta Amos che dice ad Amasia: "Non ero profeta, né figlio di profeta; ero un pastore e raccoglitore di sicomori; Il Signore mi prese da dietro al bestiame e mi disse. Và e profetizza al mio popolo Israele". Quindi non lo si può diventare per scelta propria, ma quando il Signore manda, non c'è via di scampo; ed è oltremodo raccomandato di non cercarla la via di scampo, se no si rischia di finire nello stomaco di qualche balena... E san Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, conferma queste "preferenze" divine: "Considerate la vostra chiamata fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio".
A volte per essere pronti ad annunciare Lui, bisogna percorrere il cammino durissimo del fallimento, magari ripetuto e ricorrente finché sentiamo che la Sua Parola può passare senza più cozzare con la nostra e il nostro io si è talmente dileguato da poter dire in verità: " Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me".
A questo punto i discepoli possono andare, a due a due, e possono ricevere i poteri di scacciare gli spiriti immondi, di guarire ogni sorta di infermità e di fare prodigi, perché sono ormai liberi e liberati dalla tentazione di attribuirsi meriti e poteri che non si sono dati loro, ma procedono dalla grazia del loro Maestro e Signore Gesù. Solo, devono scuotere i loro sandali e lasciare quelli che non li accolgono nella loro polvere: loro devono fare dietrofront, ma la polvere rimanga pure lì... |