Omelia (15-07-2012) |
mons. Roberto Brunelli |
I profeti: ovvero il dito e la luna Un giorno il Maestro chiamò a sé i Dodici e li mandò a due a due, in una sorta di prova della loro futura missione: predicare l'avvento del Regno di Dio. Lo riferisce il vangelo di oggi (Marco 6,7-13), precisando anche alcune modalità, in base alle quali adempiere l'incarico: dovevano partire senza pane, né borsa, né soldi, né un abito di ricambio, ma muniti solo di sandali e bastone, quanto serviva a camminare spediti. A chi si chiedesse perché quei semplici pescatori dovessero andare "da poveri", la Bibbia dà una duplice risposta. Anzitutto doveva apparire che essi non basavano l'annuncio su risorse umane quali sono le ricchezze (di danaro, ma anche di cultura, bella presenza, facilità di parola e così via): essi erano soltanto strumenti nelle mani di Dio, portatori di un messaggio che a loro volta avevano ricevuto. C'è un detto, appropriato al caso: se un dito indica la luna, gli sciocchi guardano il dito. Importante è invece la luna, con la sua immutabile bellezza, col suo misterioso fascino; così, se un uomo parla, non conta l'uomo, ma quello che dice; quando qualcuno annuncia Dio, l'importanza delle sue parole non dipende da come egli sia vestito o da quanti soldi abbia in tasca. Ed è appena il caso di osservare che le stesse considerazioni valgono non solo in ambito religioso: in ogni campo, un'affermazione non è automaticamente autorevole solo perché riportata dai giornali o pronunciata dai cosiddetti opinionisti televisivi; né viceversa è da ritenere senza valore soltanto perché viene da uno sconosciuto "uomo della strada". Una seconda spiegazione delle indicazioni di Gesù si comprende considerando la prima lettura (Amos 7,12-15). Nell'ottavo secolo avanti Cristo, i discendenti di Abramo erano spartiti in due regni, quello di Giuda con capitale Gerusalemme dov'era l'unico tempio legittimo, e quello secessionista di Israele, dove i re gestivano a Betel un illegittimo tempio parallelo. Qui si presentò un giorno il profeta Amos, per richiamare la fedeltà all'unico vero Dio adorato a Gerusalemme; ma ne fu scacciato: "Vattene, veggente, ritirati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re, il tempio del regno". Come si capisce dall'intero suo libro, Amos dava fastidio ai potenti; le sue parole ne minavano l'autorità, perché smascheravano la loro condotta contraria alla legge divina. Egli allora rivendicò con coraggio il proprio ruolo; a chi lo scacciava rispose: "Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomoro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge, e mi disse: Va', profetizza al mio popolo Israele." In altri termini: io non sono profeta di professione, che operi per interesse; ero allevatore e agricoltore, cioè avevo già un mestiere; ma Dio mi ha chiamato, e dunque non posso sottrarmi al compito affidatomi. Amos, gli apostoli, Giovanni Battista, i martiri... E su tutti lo stesso Gesù: quanti, pur se armati solo di parole, sono stati oppressi, incarcerati, uccisi, perché dicevano cose sgradite a chi comanda; quanti altri si è cercato di tacitare col disprezzo, col ridicolo, con l'emarginazione. Eppure erano in genere persone socialmente insignificanti: ma proprio per questo le loro parole davano fastidio, risultando manifestamente di una provenienza inquietante, proclamate non per tornaconto ma in obbedienza a una chiamata dall'Alto. I veri profeti, di ieri e di oggi, parlano anche a costo del sacrificio personale; non cambiano la verità, anche se è scomoda; non la "adattano" alla compiacenza dei destinatari. I veri profeti sono eroi disarmati, che hanno accettato un compito bruciante, consapevoli di andare incontro a delusioni e sconfitte, ma tenaci perché consapevoli anche di chi è Colui che quel compito gli ha affidato. |