Omelia (15-07-2012) |
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COMMENTO ALLE LETTURE a cura di Massimo Cautero Ogni volta che sono tentato allo scoraggiamento "pastorale", per le difficoltà che di volta in volta arrivano a turbare ogni progetto ed ogni iniziativa, cerco di non cedere pensando proprio al brano del vangelo di questa domenica e che, in fondo, il padrone della vigna è Lui e che Lui provvederà a ciò di cui abbiamo bisogno. A noi deve, in fondo, rimanere solo la voglia di fare ciò che Lui ci comanda, nella sostanza, nello stile, nella fede e nell'amore! Non possiamo però ignorare che oggi la nostra "pastorale" e la nostra "missione" è molto contaminata da vari "superflui" che cerchiamo di giustificare sempre come "moderne necessità" o con la logica perversa del fine a cui sono permessi tutti i mezzi, non rendendo sempre così chiaro cosa è veramente essenziale al nostro lavoro. Certamente non si mettono in discussione le cose buone, quelle che ci aiutano a lavorare meglio, ma sono da mettere in discussione tutti quei mezzi dietro i quali si vanno a nascondere il nostro "efficientismo", "arrivismo", voglia di "riuscire primeggiando", adorazione del superfluo - in primis beni e danaro! - a cui si allargano le braccia e si sospira quasi dispiaciuti: "non se ne può fare proprio a meno!". Contro ogni efficientismo, arrivismo e voglia di potere che contamina oggi anche la Chiesa, contro questo "non se ne può fare proprio a meno" accorre oggi la medicina di questo vangelo che Gesù ci propone, senza mezze misure, come stile della missione evangelico-ecclesiale. Vediamo meglio come possiamo accogliere qualche suggerimento: Andare a due a due, essere cioè - nello stile giuridico ebraico (Mt 18,16) - testimoni credibili di tutto quello che ci accade, testimoni della nostra fede, della nostra salvezza, del nostro comune battesimo; due è il minimo per i fratelli che non debbono e non vogliono rimanere soli, testimoniando quel terzo che è Gesù che rimane sempre in mezzo a loro (dove sono due o tre... Mt 18,20 - Eb 10,28), affermando, nello stesso tempo, che il nostro Dio ha talmente voglia di essere l'altro che è trino, e che nessuno è destinato alla solitudine, costretta o volontaria che sia, perché la salvezza che testimoniamo non è un singolo teorema umano ma comune destino divino. Il bastone che ogni pellegrino deve portare è più di un semplice aiuto, è la memoria biblica del più grande evento di salvezza che diventa la storia degli uomini, un bastone che può fare la differenza separando le acque di un mare, facendo sgorgare acqua da una roccia, ricordare il legno messo a croce dal quale Dio sigilla la vittoria sulla morte. Simboleggiare la canna od il bastone che è il "canone", ossia quel bastone dritto che segna i confini, le regole di ciò che è male e ciò che è bene, con cui, ancora oggi, i pope ortodossi battono il terreno ritmando la processione di Pasqua; mezzo semplice ed efficace non per recare offesa ma per dare e ribadire ogni sostegno alla nostra debolezza che è anche la nostra forza (2Cor 12,9-10), ricordarci che tutti abbiamo bisogno, prima o poi, di appoggiarci a quel bastone. I sandali, calzati sono l'unica difesa di chi molto deve camminare, sono la garanzia che si può attraversare il mondo intero senza riportare danni, sono il simbolo del coraggio dell'uomo di Dio che non teme di andare là dove Dio lo manda. I sandali si devono togliere quando siamo a casa, lasciati fuori la soglia per impedire che l'impuro - tutto ciò che non appartiene alla nostra dignità e santità - che ci si è attaccato addosso entri nel recinto sacro della nostra fede, della nostra salvezza mettendola in pericolo, ma che ci danno coraggio anche quando dobbiamo camminare sui carboni ardenti o meno pericolosamente, andare dove non ci piace. Pur essendo solidi, i sandali, non nascondono la bellezza dei piedi di coloro che annunciano la salvezza, piedi efficacemente missionari, ricordandoci anche che, proprio perché sandali, essi non creano uno scudo impenetrabile, e dicono, allo stesso tempo, che dobbiamo essere pronti a rischiare sempre qualcosa di nostro sicuri che la nostra forza è in Dio e non in noi. Cosa Gesù ci dice, invece, di non portare perché inutile alla missione che dobbiamo affrontare: La scorta di pane che non è frutto della sua provvidenza ma della nostra voglia di sicurezza, contro la paura di morire di fame. Pane inutile perché non è per la condivisione ma per il singolo fabbisogno, ovviamente è una prova in preparazione a quell'unico pane che è ben più del semplice pane, ben più del semplice sostentamento, pane che solo dal cielo può venire che è invito a confidare realmente nella Divina Provvidenza, che non toglie la paura di morire ma la morte stessa, il vero pane segno della sua misericordia e unico tesoro che siamo autorizzati sempre a portare ma che, purtroppo, spesso confondiamo con le nostre scorte di pani, nell'illusione che da questi si parta e per questi si arriva. Non possiamo pregare il Padre di darci il nostro pane quotidiano e poi affannarci a fare e portare scorte di pane nostro. Non portare la seconda tunica! Ovviamente inutile a prescindere, diventa l'immagine del vero superfluo, del vestito che serve solo a soddisfare non più il bisogno primario di coprirsi ma un progetto personale di previsione, di pianificazione, di calcolo delle occasioni in cui indossare per apparire pronti o puliti o forti, illudendo, al tempo stesso, il nostro spirito che esista un giorno, un momento, da noi deciso, in cui saremo pronti e puliti e forti per l'occasione giusta, mentre ci perdiamo l'oggi dono di Dio che è l'occasione giusta, l'oggi in cui il mio Signore mi accoglie con l'unica tunica segno della mia identità da lui donatami nel giorno del mio battesimo e che a Lui non importa se essa è stracciata o lisa perché solo le cose che abbiamo veramente usato raccontano il nostro vero lavoro, la nostra vera dignità. Se questa singola tunica è la mia singola identità allora c'è da domandarsi: conosco la mia dignità, ho coscienza della mia appartenenza a Colui che mi manda? O confido ancora in una duplice identità che io sono capace di darmi? Arriviamo all'avversario di Dio, a ciò a cui Gesù stesso mette un "out, out" diretto, senza possibilità di errore: Mammona! Rinunciare al denaro è una condizione esistenziale più che materiale, anche se ad esso si deve rinunciare anche materialmente per permettere all'essere di venire fuori. Il denaro somma tutte le nostre esigenze di autonomia ed egoismo a cominciare da Dio e dal prossimo, è la principale preoccupazione del povero come del ricco, esso ci deruba possedendoci da dentro, disorientando la nostra anima, confondendo la nostra fede e fiducia nella provvidenza, alimentando la nostra sete di autonoma onnipotenza! E' vero che con il denaro si può fare tanto bene, può diventare provvidenza per qualcuno, segno di speranza per altri, ma quale è il prezzo che dobbiamo pagare asservendoci ad esso come potente risorsa? Il denaro può vanificare la missione ecclesiale, corrompere la santità e la dignità umana, costringere le grandi opere di carità a diventare imprese, società per azioni che, come enormi serpenti dorati ingoiano la propria coda, sostituendo ogni fin di bene con il bene supremo della loro esistenza! Una delle accuse più grandi che si rivolgono oggi alla Chiesa ed alla sua missione riguarda proprio il connubio Chiesa-ricchezza, ed anche se tante delle accuse sono inopportune di fronte ad uno stoico e concreto impegno ecclesiale a favore dei più deboli, dobbiamo considerare la testimonianza di tanti santi che hanno fatto risplendere la Gloria di Dio in una vita obbediente, casta e povera, e allora domandarsi: sono proprio tutte inopportune, oggi, queste accuse? Possiamo migliorare? Possiamo rinunciare ancora a qualcosa per guadagnare il mondo intero? Che bello sarebbe prendere veramente sul serio il vangelo di oggi e seguire il suo consiglio alla lettera, chissà che una nuova credibilità ci aiuti ad essere ancora missionari del Regno, portatori di Parola di salvezza e di guarigione; Chissà che qualche povero in mezzi e spirito trovi veramente sollievo nel nostro iper-superfluo, fatto di case, campi, conti bancari che ammuffiscono al sole di nessuno, e qualche missionario, libero dalle preoccupazioni di gestire case, campi e conti, riesca ad essere più attento alla sua missione. Chissà se liberi da ogni sospetto ed accusa perché poveri di nostri mezzi, ma ricchi della forza del Signore, il Regno dei Cieli diventi più vicino! |