Omelia (15-07-2012) |
don Alberto Brignoli |
L'iniziativa è di Dio Credo che nessun credente, a qualunque religione appartenga, nel momento in cui mette a disposizione la propria vita per l'annuncio di un messaggio di testimonianza lo faccia per ambizione, per la ricerca del successo, di gloria o di fama personale. Sono anzi abbastanza certo, anche sulla scorta dell'esperienza personale, che se sapesse in anticipo che cosa lo attende, quando mette a disposizione la propria vita per un annuncio di speranza, di certo ci penserebbe non una volta sola, prima di dire "sì". Essere testimoni di qualcosa di importante non è facile, occorre innanzitutto esserne convinti. Ma essere annunciatori del messaggio di speranza che viene dalla Parola di Dio è veramente un compito arduo, perché non comporta onori, benemerenze, reverenze e riconoscimenti come forse si è tentati di pensare. Il più delle volte comporta contrasti, difficoltà, fatiche, forti incomprensioni: soprattutto quando il messaggio che si porta è di denuncia contro atteggiamenti di ingiustizia e di sopruso nei confronti dei più deboli, quando si entra in contrasto con un modo di intendere la vita che non corrisponde ai disegni di Dio. Un testimone scomodo: questo è stato, nell'Antico Israele, il profeta Amos. Egli, originario del Regno di Giuda, del Sud, viene mandato da Dio a predicare la sua parola e a denunciare gli atteggiamenti di corruzione nel Regno del Nord, il Regno di Israele. Figuriamoci se viene accolto bene: viene insultato dalla classe dirigente, soprattutto dai sacerdoti del santuario di Betel, che lo vedono come un opportunista, uno che va in cerca di fortune, di potenti protettori a cui può dare una mano nella loro lotta politica contro il potere costituito. E non usano mezzi termini, come abbiamo ascoltato nella prima lettura: "Vattene, veggente, nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare". Qui no: qui non abbiamo bisogno di mercenari della Parola di Dio, abbiamo il nostro santuario, abbiamo il nostro re, il resto ci avanza tutto. Ma Amos è ben cosciente di non essersi cercato nulla, di non aver creato nulla e soprattutto di non essere andato a mendicare pane da nessuno. Quello che sta facendo non è sua iniziativa. Lui stava bene dov'era: non era assolutamente nato come profeta, non ha avuto una formazione profetica, niente a che vedere nemmeno con le scuole di pensiero dell'epoca. E non può nemmeno vantare una nobile stirpe: era un pastore, un coltivatore di piante del deserto, fondamentalmente un nomade. Ha però risposto ad una chiamata, ha dato retta alla voce di Dio, e ha iniziato a parlare in suo nome. Fosse stato per lui, ne avrebbe fatto volentieri a meno: chi si mette a fare il testimone, il profeta, l'annunciatore di misteri della salvezza e di valori grandi, sapendo bene che tutte queste cose non procurano se non fastidi senza fine? Eppure, non riesci a dire di no...quando Dio chiama, difficile resistere. E questo vale per tutti: per un pastore di Tekoa come Amos, per un pescatore della Galilea come Pietro, per un esattore delle tasse come Matteo, per un rivoluzionario come Simone lo Zelota, per una donna dai mille amori come Maria Maddalena, per un rabbino integralista come Paolo di Tarso. Tutti quanti chiamati, presi così com'erano, e mandati ad annunciare, ognuno nel proprio ambiente, il messaggio di salvezza. Quale fosse il contenuto di questo messaggio, beh...abbiamo tutta la Bibbia per capirlo e comprenderlo e per cercare di trarne fuori un catechismo, un vademecum, un prontuario all'uso del predicatore. Rimane, però, un problema, che non dev'essere di scarsa importanza, visto che Gesù vi dedica quasi la metà del discorso riportato dal Vangelo di oggi: ovvero, che questo annuncio non trova grandi adesioni e di solito non riscuote un enorme entusiasmo. Oggi come allora, al tempo di Gesù come al tempo di Amos o di tutta la storia della salvezza, il messaggio del'uomo di Dio, del testimone della giustizia, del profeta di speranza, non viene accolto con entusiasmo da tutti. Entrare nelle case degli uomini, rimanere a loro fianco, calpestare la polvere delle loro strade, condividere le loro vicende umane è un imperativo categorico, un compito ineludibile di ogni cristiano. Guarire i malati, scacciare i demoni, invitare la gente alla conversione; questo è quello che il Maestro ci chiede di fare, e non ce lo chiede per la nostra bella faccia o per i nostri tanti o pochi meriti. Ce lo chiede perché ce lo chiede, perché è sua volontà. Punto. Ma ce lo chiede anche con quel sano realismo di chi sa che la Parola di Dio è efficace nella misura in cui incontra un terreno disposto ad accoglierla e a farla crescere. Insistere a voler rimanere in un posto, in una casa, in un villaggio, affinché tutti si convertano e credano al Vangelo non ha senso e non è ciò che il Maestro ci chiede. Occorre avere un sano distacco dalle cose e dalle situazioni, tale per cui, se la Parola non viene accolta, non ha alcun senso insistere: attaccarsi alle persone per sperare di ottenere un successo personale è come volersi attaccare alla polvere che è sotto i nostri piedi. La polvere è il nulla, è inconsistente, e da essa ci dobbiamo staccare: preoccupiamoci solo che la gente, un giorno, anche grazie alla nostra testimonianza, attacchi il proprio cuore al cuore di Dio. |