Omelia (05-08-2012)
Ileana Mortari - rito romano
Chi viene a me non avrà fame

La pericope liturgica odierna si colloca dopo l'episodio della moltiplicazione dei pani (visto la scorsa domenica) e, dopo due versetti di transizione, presenta l'inizio del lungo discorso eucaristico, che va dal v.26 al v.58, e che viene letto nelle domeniche 18°,19°,20° dell'anno B.
A differenza dei discorsi presenti nei vangeli sinottici, che riflettono più da vicino le parole effettivamente pronunciate dal Gesù storico, quelli del 4° vangelo sono in genere piuttosto lunghi ed elaborati; infatti Giovanni sovrappone al discorso di Gesù la sua meditazione teologica, o per meglio dire le riflessioni della Chiesa guidata dallo Spirito Santo: nei discorsi giovannei parla il Cristo risorto, il Cristo vivo e spiritualmente presente nella comunità dei discepoli.
All'inizio del testo odierno Gesù si preoccupa di correggere le motivazioni per cui la gente lo cerca e la invita a non limitarsi al fatto del pane materiale che sazia la fame, ma piuttosto a "leggere" il segno della moltiplicazione: è Lui stesso il pane vero, il cibo che dura per la vita eterna. "Questa è l'opera di Dio - Egli prosegue - che crediate in colui che egli ha mandato".
Tuttavia, per credere, i Giudei pretendono un segno, tipo la manna che Dio donò ai Padri nel deserto, dimostrando così di non aver saputo riconoscere il "segno" che già Gesù aveva dato con la moltiplicazione dei pani!
Per capire la domanda dei vv.30-31, dobbiamo ricordare che, secondo l'aspettativa giudaica, il Salvatore escatologico (cioè degli ultimi tempi) avrebbe dovuto rinnovare i prodigi di Mosè; dice infatti un commento rabbinico: "Come il primo salvatore fece discendere la manna (cfr.Esodo 16,4) .......così anche l'ultimo salvatore farà discendere la manna". Un fatto di tal genere si aspettavano dunque i Giudei e, secondo la loro tradizione, la manna si riferisce alla Legge, è metafora del dono vivificante di Dio: la Legge, appunto. Ma allora "mangiare la manna" significa in realtà "assimilare la Legge, vivere di essa".
Nei versetti successivi Gesù interpreta e corregge l'aspettativa giudaica: "Non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio.......Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo.........Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!" (vv.32-36)
E' Gesù il vero compimento delle aspettative espresse nella Scrittura. Le sue parole riecheggiano chiaramente due noti passi dell'Antico Testamento. Il primo si trova in Proverbi 9,5, dove la Sapienza personificata dice: "Venite, mangiate il mio pane; bevete il vino che vi ho preparato".
Il secondo è costituito da Siracide 24,20 "Quanti si nutrono di me (= la Sapienza, che coincide con la Legge, dunque "quanti mi meditano") avranno ancora fame e quanti bevono di me avranno ancora sete........."
Gesù si rifà a questi due importanti passi, ma afferma che chi crede in Lui non avrà più fame, né sete, mai! Egli dimostra dunque chiaramente di compiere e realizzare in Sé la profezia di Isaia 49,10: "Non soffriranno né fame, né sete, perché colui che ha pietà di loro li condurrà alle sorgenti di acqua".
Dunque con Gesù i tempi sono compiuti, il desiderio è totalmente appagato, come è avvenuto in maniera simbolica dopo la moltiplicazione: i presenti si saziarono e avanzarono pure dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo!

"Nel deserto della storia l'uomo è tentato da tanti cibi apparentemente raffinati e gustosi, ma il cui sapore alla fine è amaro e l'effetto talora velenoso; è tentato anche da tante sorgenti inquinate, da acque contenute in cisterne screpolate (cfr. Geremia 2,13), che in realtà accrescono la sete e lasciano la gola arida.
Cristo offre, invece, all'uomo il "pane di vita" e l'acqua che cancella ogni sete (cfr. Giovanni 4,14).
Contro la tentazione del cibo e della bevanda che simboleggiano certe ideologie appariscenti ma che non saziano le coscienze, contro certe forme religiose consolatorie o esotiche che stordiscono ma non guariscono, contro il godimento che offusca la mente e ottunde il cuore, la liturgia odierna ci propone una forte e decisa esperienza del Cristo, della sua persona e della sua parola."
(G. Ravasi, Secondo le Scritture - Doppio commento alle letture della domenica - Anno B, Piemme, pag.245)