Omelia (22-07-2012)
padre Gian Franco Scarpitta
Fra pecore e pastori, il Pastore supremo

Quand'ero bambino, secondo un' usanza che all'epoca era tipica in Sicilia (la terra dove ho trascorso parte della mia vita), io, i miei familiari e tutti i parenti ci recammo una mattina all'alba nella riserva di campagna di un pastore per consumare la "zabbina", cioè la ricotta calda mista a siero che, appena uscita dal paiolo bollente, veniva servita calda nei piatti e nelle ciotole. Se la si gusta ancora calda è una vera prelibatezza, specialmente d'inverno. Poco dopo la consumazione del pasto, io e i miei cuginetti, spinti dalla curiosità e dall'inventiva del gioco, ci recammo al vicinissimo recinto delle pecore che il pastore possedeva, e iniziammo a divertirci con quegli animali rinchiusi, incitandoli a muoversi, a belare, e a saltare la staccionata. E poiché l'entrata dell'ovile si apriva facilmente, notammo che una di quelle pecore, da noi stuzzicata, ne era uscita e ora si incamminava per il vasto prato antistante. Quasi immediatamente la seguivano altre due o tre pecorelle che assieme ad essa cominciavano a vagare senza meta per la prateria che si estendeva tutt'intorno a perdita d'occhio; poi altre andavano loro dietro, altre ancora si disperdevano ciascuna in una zona differente. Fino a quando gran parte del gregge si trovò assai lontano dall'ovile procedendo senza meta. Ad eccezione di qualche pecorella rimasta indietro, tutte camminavano in gruppo addentrandosi sempre più nella vasta prateria. Intervenne allora il pastore che ci ospitava, che si procurò un grosso bastone, si mise a correre trafelato verso il gregge che andava alla deriva, lo raggiunse, lo superò e manovrando il bastone con la mano destra riuscì a recuperare un po' alla volta ciascuna delle bestie, a radunare tutto il gregge e a governarlo finché non rientrò per intero nel recinto. Chiuse l'ingresso del medesimo apponendovi anche un lucchetto e prese a rimproverarci per il danno che avevamo fatto.
L'episodio mi fa considerare adesso le ripetute comparazioni che nella Bibbia si tracciano fra le pecore disperse e il popolo di Dio, fra il pastore che guida il gregge e l'apostolo, il profeta o generalmente chi annuncia la parola del Signore, e soprattutto l'immagine del Buon Pastore che Gesù propone di se stesso.
La condizione degli uomini è proprio quella delle pecore di cui ho parlato poc'anzi: siamo facilmente attratti da ogni sorta di provocazione banale, restiamo affascinati dalle devianze della moda, dei costumi, degli idoli del momento. Siamo sedotti dal fascino di subdoli predicatori che tendono a fuorviarci con la loro forza di persuasione e tendiamo ad uscire facilmente dal recinto per disperderci ciascuno per conto proprio eppure tutti quanti nella stessa direzione: la presunta autosufficienza. Siamo infatti pecore senza pastore, anche se illudiamo noi stessi con falsi ideali di emancipazione, libertà di scelta e autoaffermazione. Il relativismo, apertamente combattuto da Benedetto XVI in nome della Verità assoluta, conduce l'uomo a creare un'etica personale e una religione usa e getta, gestita e manovrata secondo le proprie preferenze e tuttavia finalmente a svantaggio del soggetto umano e della collettività. Appena uscite dal recinto e disperse, le pecore non considerano neppure se sia necessario o meno toranre alla loro dimora di origine o se valga la pena mettersi in cerca del loro pastore: procedono ciascuna per conto poprio anche se a volte in gruppo, convinte di poter provvedere a se stesse. Tale è l'uomo che si avvale delle proprie convinzioni soggettive escludendo Dio, la sua emancipazione lo rende in realtà pecora senza pastore.
Dispersione e sfacelo caratterizzano anche la nostra stessa vita di fede, il mondo cristiano e l'appartenenza alla Chiesa: è riprovevole che nei luoghi in cui ci si aspetterebbe unità e reciproco orientamento spirituale, si avvertono fazioni e divisioni teologiche, pastorali o parrocchiali a discapito dei singoli fedeli e della comunità intera.
Se l'uomo ha bisogno inconsapevolmente di un orientamento, se noi ci troviamo nella condizione delle pecore senza pastore sedotte e deviate che si incamminano per vasti luoghi sconosciuti, Cristo Figlio di Dio Buon Pastore ci rincorre e si pone davanti a noi come guida e come porta verso la verità. A differenza del pastore che riconduceva il suo gregge verso l'ovile per rinchiudervelo dentro, Cristo oltre che guidare e condurre a casa, si china su ciascuna delle pecore disperse per servirla e per darle un saggio della sua premura e della sua misericordia, affinché sia essa stessa a seguire il suo pastore. Egli fra l'altro ci si propone come "via, verità e vita", assumendo egli stesso anche i connotati di ingresso del gregge, essendo il luogo attraverso il quale è possibile raggiungere la verità e in essa persistere.
Come suggerisce la pagina di Vangelo odierna, il ministero del Signore e degli apostoli suscita consumazione e stanchezza e comporta la necessità di raccoglimento e di riposo rifocillante, ma ciò non impedisce a Gesù di scorgere nei suoi interlocutori delle pecore senza pastore bisognose di una specifica direzione e pertanto provvede alla loro formazione attraverso l'insegnamento e l'apporto del divino messaggio.
Cristo si riafferma il Buon Pastore nonostante la reticenza delle pecore che ostinatamente tendono a proseguire ciascuno sulla propria strada. Egli persiste nell'apportare agli uomini la misericordia del Padre e il lieto annuncio di vita e di speranza che ci è dato nel suo Regno, qualificandosi come unico criterio di verità e di vita perseguibile, unica alternativa alle effimere proposte di questo secolo.

Purtuttavia, l'allevamento e la conduzione del gregge si realizza da parte del Signore per mezzo di elementi umani, cioè di "pastori visibili", identificati negi apostoli e oggi nei loro successori, il pontefice e il collegio dei vescovi.. Come pure nell'Antico Testamento, Dio esorta i pastori, cioè i profeti e i latori del divino messaggio, ad occuparsi delle necessità del gregge che è il popolo di Israele. Il Pastore Supremo Cristo si prodiga per il suo popolo attraverso il ministero efficace di persone appositamente presdisposte a tale servizio, che egli propone come latori della sua Parola e amministratori della sua grazia.
E' indispensabile allora che tali ministri si rendano modelli del gregge, servendo e riverendo le pecore evitando di spadroneggiare sul popolo loro affidato perseguendo unicamente i propri vantaggi (1Pt 5, 2 - 4). La condotta esemplare del ministro di Dio è irrinunciabile perché la comunità a lui affidata trovi il dovuto orientamento e se è vero che l'obiettivo di ciascuno è il Pastore supremo Gesù Cristo, la coerenza e l'integrità di vita dei pastori visibili non è di secondaria importanza, come pure è indispensabile la loro sollecitudine caritatevole, la loro sincerità e trasparenza, come del resto denuncia Ezechiele contro i pastori che pascono se stessi, dimentichi del gregge che va disperdendosi (Ez 34, 1 - 10). Anche Geremia (prima Lettura) riafferma l'urgenza di amore che ogni ministro di Dio deve nutrire nei confronti di ciascun fratello, la solerzia e la tenacia nel servire il gregge e non da questo essere servito. Con la medesima premura esternata dal Cristo, anche il parroco e il sacerdote sono tenuti ad interessarsi seriamente del benessere spirituale e materiale della comunità e dei singoli fedeli, allontanando ogni tentazione di predominio e di prevaricazione sul popolo, mirando al contempo all'esemplarità della vita e alla linea di coerenza fra quanto si annuncia e quanto si mette in atto.
Sarebbe opportuno a mio giudizio che nel programma della formazione permanente del clero si insistesse su questi punti irrinunciabili inerenti la carità seria, decisa e attenta verso i fedeli, la sollecitudine e il serio impegno nelle attività di ministero che mostrino vera preferenza verso il popolo anziché l'esibizionismo di vacue attività pastorali molte volte atte solamente a mettere in primo piano se stessi e le proprie capacità presunte. E' importante che un ministro di Dio prenda sul serio i problemi della gente sia al confessionale sia nelle visite pastorali al popolo, lasciandosi coinvolgere e corrispondendo con sincera sollecitudine e mirando alla qualità del suo servizio e per ciò stesso venga egli stesso formato alla sensibilità umana prima ancora che cristiana. Tutto questo non senza l'amore preferenziale per la Scrittura e una rinnovata adesione a Cristo che è Porta nonché guida anche per gli stessi suoi ministri.