Omelia (18-01-2004) |
mons. Antonio Riboldi |
Ritrovare la gioia Fanno meditare e a lungo i 30 anni di silenzio di Gesù, passati nella oscura Nazareth, dove, così ci dice la Storia, vi era la piccola storia di una borgata, che conosceva la beatitudine della povertà di Spirito, con cui Gesù aprirà il "discorso della montagna". E' una semplicità che in tanti, a cominciare da me, abbiamo vissuto: una semplicità che forse ci teneva ignari della umanità che soffriva e dove la vita era fondata sui valori, che sono come le colonne dello Spirito: la fede, l'amore della famiglia, il culto di tanti valori, come l'accoglienza e via dicendo. Oggi non è più così. Oggi il mondo è entrato in casa di tutti con le sue speranze e gioie (poche), con le sue sofferenze e angosce e tutto diventa di tutti. Se da una parte è un bene, questo sentire il mondo fare parte della nostra esistenza, cancellando la solitudine, dall'altra le tante sofferenze e angosce, rischiano di appannare le poche gioie e le poche speranze, fino a farci sentire preda della paura, come fossimo dimenticati da Dio. Difficile parlare di gioia oggi, ovunque: o per il terrorismo, che incombe come una lunga ombra della morte che può abbattersi su tutti e ovunque, o per le tante guerre, che sembrano caratterizzare tutti i tempi, come se Caino non fosse mai scomparso, sempre in cerca di un innocente Abele da uccidere... Ma c'è ancora posto per la speranza e la gioia? Voglio risentire per me e per i miei cari amici, le dolci parole di speranza che la Chiesa oggi ci propone, prima con Isaia e poi con il Vangelo delle nozze di Cana. "Per amore di Sion non tacerò - dice Isaia - per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia, la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria: ti si chiamerà con un nome nuovo che la bocca del Signore indicherà. Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del mio Dio. Nessuno ti chiamerà più "Abbandonata", ne la tua terra sarà più detta "Devastata"; ma tu sarai chiamata "Mio compiacimento" e la tua terra "Sposata", perché il Signore si compiacerà di te, e la tua terra avrà uno sposo". (Is. 62, 1-5). Tutti i miei lettori conoscono la mia esperienza di pastore in situazioni particolarmente difficili, dove sembrava che la giustizia, la speranza fossero state sepolte e con loro la dignità e il diritto alla gioia dell'uomo. Divenuto Vescovo, non pensai lontanamente ad un mio stemma, anche perché non sapevo che cosa mettere. Dopo otto anni di servizio episcopale, un giovane cresimando, a nome della comunità cui apparteneva, esperto in araldica, volle farmi il dono di un disegno di stemma che, secondo lui, poteva essere quello che mi si addiceva. Nelle scudo della stemma, in campo azzurro, vi era una colomba che ad ali spiegate tracciava un sentiero, in quella che doveva essere l'immagine del deserto. E sotto la scritta di Isaia di oggi: "Nel deserto aprirò una strada". Una profezia che si addice ai nostri tempi oscuri, quelli che viviamo e che chiedono la forza delle parole di Isaia. E' lo stile del nostro Santo Padre che non "tace", ma per amore della umanità parla di pace, di giustizia e di perdono...come a indicare che l'uomo può oscurare, con le sue pericolose nubi, l'arcobaleno che viene dal cielo, ma non distruggerlo. E' davvero tempo di impegno, di fiducia, di speranza, di gioia, i veri valori di ogni uomo e di tutta l'umanità. Il Vangelo che da inizio a quello che noi chiamiamo "tempo ordinario", ci mostra Gesù alla sua prima uscita pubblica, dopo 30 anni di silenzio costruttivo. "In quel tempo", racconta Giovanni l'evangelista, "ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno più vino" E Gesù rispose: "Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora". Ma la madre dice ai servi "Fate quello che vi dirà" (Gv. 2, 1-12). E tutti sappiamo come Gesù fece riempire ben sei giare di acqua e cambiò l'acqua in un vino talmente buono da stupire tutti gli invitati che non si rendevano conto di come proprio alla fine della festa e non prima, venisse dato il vino più buono. La prima riflessione che mi viene è quella di vedere Maria, Gesù e i discepoli, farsi partecipi di un momento di festa della vita della gente. Gesù subito insegna che il suo posto nel mondo non può essere ristretto a qualche momento della vita dell'uomo, ma si fa presente a tutta la sua vita, alle sue gioie e alle sue sofferenze. E lo dimostrerà per tutti gli anni passati tra di noi. Ed è veramente un grande dono alla speranza sapere con certezza che non siamo orfani, e nemmeno preda dell'angoscia, ma accanto a noi c'è Colui che davvero può cancellare la paura, il vuoto della mancanza di speranza, con il trasformare l'acqua in vino...sia pure con l'insistenza materna che ieri, come oggi, fa sentire la sua voce al Figlio! E' bello anche solo pensare come Maria, che noi forse pensiamo assente dalle nostre difficoltà, ha invece gli occhi bene aperti sulla sofferenza, sulle difficoltà che sono sempre le ombre che possono apparire improvvisamente sulla nostra vita. E' certamente per questa certezza di una Mamma attenta alla nostra vita, come sa fare una mamma, che tantissimi sentono il richiamo ai santuari della MAdonna certi che ancora una volta lei saprà dire al Figlio di cambiare l'acqua in vino ossia la sofferenza in gioia, la paura in speranza, il buio nella luce. E c'è un momento che fa della vita "la vocazione di Dio", ossia il matrimonio. Si fa una grande festa quel giorno e la festa inizia in Chiesa per ricevere la grazia che viene dal sacramento, ossia Gesù che si fa presente sempre nella vita di due che diventano "una sola carne" per tutta la vita. Da quel momento nel matrimonio, e poi nella famiglia che si forma, non dovrebbe mai mancare il "vino", ossia la presenza della gioia, che è frutto di un vero amore sostenuto dalla Grazia. E' un brutto segno sapere che il matrimonio viene quasi ignorato dalle istituzioni, che parlano della famiglia, senza mai accennare che questa, nasce dal matrimonio e dando così il via a coppie che vogliono forse chiedere ciò che non possono avere e che solo la presenza di Cristo sa dare. Da qui le coppie di fatto, matrimoni che si sciolgono come fossero "case fondate sulla sabbia", che crollano al primo soffiare dei venti, direbbe Gesù. E così in tante famiglie, come nella società, si ha l'impressione che è venuto a mancare "il vino", ossia la gioia dell'essere insieme una cosa sola. Quanti drammi evitabili! Forse tutto questo avviene perché alla festa delle nozze si è dimenticato o non si è voluto invitare Maria e Gesù. E così al momento opportuno non c'è chi fa notare la mancanza del vino e chi è pronto a cambiare l'acqua dell'egoismo o di tante altre cause, nel vino della gioia. Vorrei dedicare ai giovani, che si apprestano a dare inizio alla vocazione del matrimonio, a dirsi "un sì" che rimanga stampato nel cuore, qui e in cielo, per sempre, come questa pagina delle nozze di Cana. Non lasciate fuori dalle vostre nozze Gesù e Maria. Possono coronare le vostre nozze tanti invitati, più o meno illustri; ci può essere tanta festa... ma se sono assenti loro, Gesù, con la Sua Grazia, e Maria con il suo occhio attento di Mamma, la festa finisce presto. Ho chiesto un giorno ad una coppia di sposi quale era il loro programma dopo le nozze. "Il nostro viaggio, sarà visitare i santuari per dire a Maria di starci vicina sempre... come a Cana, con Gesù". |