Omelia (29-07-2012)
mons. Antonio Riboldi
Una realtà di cui si parla poco: la fame

Sappiamo tutti come anche nei Paesi dove fino a poco tempo fa regnava il benessere, oggi per le varie crisi economiche, che hanno colpito anche le Nazioni occidentali, si è fatta strada la fame.
Può sembrare assurdo che anche fra di noi ci sia chi patisce la fame, ma è così.
In tante Diocesi e parrocchie la Caritas sta allestendo iniziative per andare incontro a chi in tanti modi sta vivendo situazione di vero disagio sociale.
Possono apparire piccole misure, ma è sempre meglio che nulla.
Che dire poi dei Paesi dove la fame da sempre è di casa e ha causato e causa la morte di tanti, ogni giorno? Basterebbe leggere quello che qualche volta si affaccia nei servizi TV o nelle cronache, ma soprattutto nelle varie riviste missionarie.
È incredibile che intere popolazioni possano morire di fame, quando sappiamo tutti che se ci fosse una giustizia distributiva delle ricchezze o anche solo se ciascuno di noi si facesse carico della carità che sa vedere ed aiutare chi ha fame, questo non succederebbe, poiché le risorse della terra, se ben gestite, possono sfamare tutti...
Do la parola a Paolo VI che, nell'enciclica 'Populorum progressio' del 1967 già così scriveva:
"Se un fratello e una sorella sono nudi, dice S. Giacomo, se mancano del sostentamento quotidiano, e uno di voi dice loro: 'Andatevene in pace e scaldatevi, senza dar loro quel che è necessario al loro corpo, a che servirebbe?'. Oggi nessuno lo può ignorare, sopra interi continenti, innumerevoli sono gli uomini e le donne tormentate dalla fame, innumerevoli i bambini sottonutriti, al punto che molti di loro muoiono in tenera età e la crescita fisica e lo sviluppo mentale di parecchi altri restano compromessi, e che regioni intere sono per questo condannate al più cupo avvilimento.
Appelli angosciati sono già risuonati. Quello di Giovanni XXIII è stato calorosamente accolto. Noi stessi lo abbiamo reiterato nel giorno del Santo Natale 1963 e poi in favore dell'India nel 1966. La campagna contro la fame, lanciata dall'Organizzazione Internazionale della FAO e incoraggiata dalla Santa Sede è stata generosamente accolta. La nostra Caritas internazionale è dappertutto all'opera e numerosi cattolici, sotto l'impulso dei nostri fratelli dell'Episcopato, si danno e si prodigano anche personalmente senza riserva, per aiutare quelli che sono nel bisogno, allargando progressivamente la cerchia di quanti riconoscono come loro fratelli. Ma tutto ciò non può bastare, come non possono bastare gli investimenti privati e pubblici, i doni e i prestiti concessi. Non si tratta soltanto di vincere la fame e neppure di ricacciare indietro la povertà. La lotta contro la miseria più urgente è necessaria, ma è insufficiente. Si tratta di costruire un mondo in cui ogni uomo, senza esclusione di razza, religione, nazionalità possa vivere una vita pienamente umana, affrancata dalle servitù che gli vengono dagli uomini e da una natura non sufficientemente padroneggiata. Un mondo dove la libertà non sia una parola vana e dove il povero Lazzaro possa mettersi alla mensa del ricco. Ciò esige molta generosità, sacrifici e sforzo incessante.
È necessario che ciascuno esamini la sua coscienza che ha una voce nuova nella nostra epoca".
È vero che l'attuale economia in difficili condizioni impone a tutti una maggiore coscienza nel dare alla vita un aspetto di semplicità e sobrietà, che era la ricchezza d'animo di un tempo, ma è proprio questa nuova consapevolezza e urgenza di semplicità che deve fare spazio alla generosità e quindi alla carità.
Sappiamo tutti come il mondo, il consumismo, ogni giorno e con ogni mezzo, cerchi di catturarci, come un controvangelo. Questa battaglia del consumismo altro non ha fatto che rendere sempre più poveri i poveri e più ricchi i ricchi.
Ma sappiamo anche, se siamo onesti con noi stessi e ne abbiamo fatto qualche volta l'esperienza, che la semplicità può fare piazza pulita dell'ingombro del superfluo, donando la serenità di sentirsi liberi dalla schiavitù del 'tutto e subito' e del 'sempre di più'.
Il consumismo accumula cose, ma svuota della gioia il cuore. Quella gioia che nasce quando alla sobrietà si aggiunge una generosa carità verso chi proprio non ce la fa.
'C'è più gioia nel dare che nel ricevere', questa è la verità bella della vita e lo sa bene chi sa aprirsi alle necessità dei fratelli.
Tante volte mi rifugio nella mia infanzia, per attingere alla sorgente di valori duraturi che l'abitavano, nonostante la ricchezza della famiglia fosse una povertà davvero oggi sconosciuta.
I vestiti di papà, una volta usati, venivano da mamma adattati in modo magistrale per noi, tanto da sembrare nuovi. Non solo, ma in famiglia, sgombra dal consumismo, vi era tanto, ma tanto posto per l'amore, la preghiera, soprattutto per una crescita umana e spirituale, forgiata sui veri valori della vita. Si diventava adulti con la povertà e grazie alla povertà di cose... a differenza di tanti ragazzi e giovani di oggi che crescono nell'abbondanza di cose, da cui a volte rischiano di essere sommersi, conoscendo poi una sterilità interiore che li fa soffrire.
Non sono le cose a renderci felici, ma i valori interiori.
Il Vangelo ci offre un meraviglioso esempio della compassione che Gesù aveva per chi lo seguiva, indifferente al cibo e disposto ad andare incontro alla fame per seguirLo e nutrirsi della Sua Parola. Racconta Giovanni, l'evangelista:
"Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Alzati gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: 'Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?'. Diceva questo per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: 'Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo'.
Gli disse allora Andrea, fratello di Simon Pietro: 'C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci, ma che cosa è questo per tanta gente?'.
Rispose Gesù: 'Fateli sedere'. C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che erano seduti e lo stesso dei pesci, finché ne vollero. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: 'Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto. Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che aveva compiuto, cominciò a dire: 'Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!'. Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo". (Gv, 6, 1-15)
Un vero esempio di come la carità non è un modo di farsi strada: sarebbe tradirne la natura.
La carità deve sempre mettere in primo piano chi amiamo e mai un voler farsi strada per apparire. Affermava il grande ed indimenticabile Papa Giovanni XXIII, il Papa del sorriso:
"Quando si è animati dalla carità di Cristo, ci si sente tutti uniti e si avvertono come propri bisogni, le sofferenze, le gioie altrui. Conseguentemente l'operare di ciascuno non può risultarne che disinteressato, più vigoroso, più umano, perché la carità è paziente, è benefica, non cerca il proprio interesse, non gode dell'ingiustizia, ma si rallegra del godimento della verità: tutto opera, tutto sopporta".
Meditando questo vangelo della carità ho sempre davanti agli occhi la grandezza di Madre Teresa di Calcutta. Ho avuto il dono di conoscerla, tenendo con lei delle conferenze.
Tutto in lei appariva umiltà e profondo amore, rivelazione delle grandi opere di Dio. Standole vicini ci si sentiva davvero spiritualmente piccoli, ma era impossibile sfuggirne il fascino.
Dovremmo tutti avere almeno un poco dello stile della carità: umile e silenziosa, amorevole e generosa, capace di fare gustare a chi soffre la gioia dell'amore.