Omelia (05-08-2012) |
don Alberto Brignoli |
Al bivio della fede Il sole che sorge ogni mattina e la luna piena che mensilmente splende nel cielo e illumina la notte sono certamente dei fenomeni astrologici che rispondono a determinate leggi fisiche della natura; ma possono anche essere il segno della premura di Dio per l'umanità, un'umanità che ha bisogno di luce e calore perché la terra dia frutto, e di luce anche nella notte per non camminare totalmente immersa nelle tenebre. Un terremoto che scuote le fondamenta della terra e porta spesso distruzione e morte è senz'altro il risultato di una concatenazione di fenomeni geologici, a volte prevedibili, molto spesso un po' meno, a cui è difficile porvi rimedio o fare prevenzione; ma può anche essere letto come il segno della forza degli elementi naturali, di fronte ai quali ci sentiamo ed effettivamente siamo poca cosa, per cui "si sta come, d'autunno, sugli alberi, le foglie"... Uno stormo di quaglie che provenendo dal nord fanno tappa nel deserto del Sinai per riposarsi nella loro trasmigrazione verso il sud, può essere un fenomeno del tutto naturale, e lo stesso si può dire dei semi di una tamerice che, all'apice della fioritura, il vento disperde sul terreno permettendo di sfruttarne le qualità a volte particolarmente nutritive che li rendono una vera e propria "manna" per chi non ha altro da mettere sotto i denti: ma nel momento critico del popolo d'Israele, entrambi questi fenomeni naturali possono assumere un significato provvidenziale. Quella che la Liturgia della Parola di oggi ci pone davanti è la possibilità di assumere una visione religiosa, mistica, dei fatti che succedono nella vita, a volte in maniera naturale, a volte con una certa straordinarietà, ma certamente mai priva di un significato che vada ben oltre quello puramente fisico, fenomenologico, ossia oltre "ciò che appare". Questa visione mistica e piena di senso porta l'uomo a farsi delle domande. A volte sono domande di ricerca di senso ("Che cos'è?", si chiede il popolo di fronte alla caduta della manna); a volte, invece, sono domande esistenziali che ricercano ugualmente un senso, ma spinte dalla drammaticità di situazioni che fanno addirittura mettere in dubbio l'esistenza di Dio (poco più avanti, al capitolo 17 dell'Esodo, l'acqua dalla roccia di Massa e Meriba porterà il popolo assetato a chiedersi: "Ma Dio è con noi sì o no?"). E non è certo una novità sapere che il cammino dell'Esodo è l'esperienza di una continua sfida a Dio da parte del popolo, che reclama ora l'acqua, ora il pane, ora la carne, ora la pentola piena di cipolle dell'Egitto, ora la guarigione dai morsi dei serpenti, ora delle figure alternative a Mosè, fino a giungere alla sfida più grave, quella idolatrica di possedere addirittura un Dio alternativo a quello del Sinai, spesso troppo assente o esclusivista. E Dio risponde facendo leva sul grado di fiducia che il popolo è capace di attribuire al suo rapporto con lui. Per cui la manna non può essere raccolta in grande quantità (scientificamente parlando, per la probabile impossibilità a conservarsi fresca), ma giorno per giorno per il fabbisogno famigliare quotidiano, e questo - riletto alla luce del senso religioso dell'esistenza - perché Dio "possa vedere se il popolo cammina o no secondo la sua legge". Dio "mette alla prova" il popolo per vedere se nella quotidianità dell'esperienza di cammino con lui è capace di fidarsi della Provvidenza più che della provvigione, se si getta alla ricerca del cibo per vivere o se vive solo per procurarsi da mangiare, se invece di chiedersi "Dio c'è, sì o no?" è capace di chiedersi piuttosto "io vivo secondo la sua legge sì o no?". È ormai chiaro che il piano della fede, pur non eliminando il riferimento a ciò che è umano, ribalta completamente il nostro punto di vista, e invita l'uomo a vedere Dio non più come il facile risolutore delle sue problematiche, ma come colui che ha in mano le sorti della sua vita, ed è disposto a concedergli vita, e vita in abbondanza, se è capace di accettare la logica della gratuità, della Grazia. Quella logica per cui Dio non lo cerco perché mi dà la manna ogni giorno (e io cerco di immagazzinarne il più possibile) o perché mi moltiplica cinque pani e due pesci (e io lì a cercare di accaparrarmi i pezzi avanzati), ma perché so che lui è lo scopo della mia vita, è la mia vita, è vita eternamente data in abbondanza. A condizioni che io riesca a fidarmi di lui. La logica di Gesù è totalmente ribaltata rispetto a quella di domenica scorsa, dove il miracolo aveva suscitato la fede nel "grande profeta che deve venire nel mondo". Oggi Gesù ci chiede di guardare tutte le cose che avvengono nella vita, anche quelle apparentemente straordinarie, particolarmente coincidenti con altre o miracolose, con l'ottica della fede. La scorsa domenica Gesù compie il miracolo perché la gente creda: oggi fa un passo in più e chiede alla gente di credere, di avere fede, per capire il vero significato del miracolo, che non è quello di avere a portata di mano il pane materiale da mettere sotto i denti con una certa facilità, senza il sudore della fronte (tant'è, c'è il prestigiatore che lo moltiplica...), ma di credere in Dio come in colui che dà la vita al mondo, sia la vita materiale, fisica, sia (e soprattutto) quella meta-fisica, quella che va oltre il fisico, quella spirituale, quella che non perisce. Quella di cui abbiamo un pegno nell'Eucaristia, "il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo ci darà". Sembra di sentire delle voci dal deserto tipicamente quaresimali ("non di solo pane vive l'uomo"). E sembra proprio che questa logica sia una logica "da deserto", che si coglie solamente "nel deserto", ovvero laddove sei veramente privo di tutto al punto che tutto ciò che ti viene donato non è dovuto, ma è Grazia. Siamo come di fronte a un bivio, davanti al quale possiamo fare ciò che vogliamo del nostro rapporto con Dio: o un rapporto commerciale, "di marketing" (io ti chiedo una grazia, e tu me la concedi secondo le mie insistenze e in base al prezzo pagato della fatica che faccio nel venire a cercarti, da una parte all'altra del lago di Galilea, oppure sul monte in un luogo deserto), o un rapporto di fiducia e di abbandono, che accetta la logica del "poco per volta", della provvisorietà, della Provvidenza. Possiamo fare l'una o l'altra cosa, con Dio. Non dobbiamo però avere la pretesa di credere che l'esito sia identico. Da una parte, una vita dignitosa, forse, e magari anche con molte certezze concrete. Terminerà tutto con la morte, come i nostri padri nel deserto. Ma nient'altro di più. Dall'altra parte, una vita che di certezze concrete e materiali ne ha poche. Ma di certo è vita. Con molta probabilità, anche abbondante e felice. Di certo, eterna. |