Omelia (10-08-2012) |
padre Lino Pedron |
Gesù spiega come si realizzerà il disegno paradossale della vita tramite la morte e come egli porterà a compimento la sua missione. La piccola parabola del seme che cade nel terreno e muore è assai espressiva e semplice: il seme è Gesù che, come il chicco di grano, deve morire per diventare sorgente di vita per tutti. Senza la morte non c'è fecondità, vita nuova e abbondanza di frutti. La vita nuova che Gesù dona è la conseguenza della sua disponibilità e della sua morte. La strada percorsa dal Maestro diviene la stessa che deve percorrere il discepolo, perché è partecipando alla sua morte che si raggiunge la gloria della vita. Solo chi si perde, si realizza. Il più grande ostacolo alla piena donazione, e conseguentemente alla realizzazione di sé, è il timore di perdersi e di sacrificarsi in questo mondo. Gesù avverte chiaramente ogni discepolo: l'attaccamento a se stesso conduce al compromesso, mentre la completa maturità consiste nell'attività dell'amore, nella donazione che è servizio ad ogni fratello. Solo chi dona totalmente se stesso per amore, porta frutto e si apre ad un destino pieno di vita eterna. Il detto sul servizio del v. 26 richiede al discepolo identità di vedute e di ideali con Gesù, collaborazione alla sua stessa missione, imitazione fino alla sofferenza e alla morte. Questo orientamento di vita al seguito di Gesù è legato ad una ricompensa assicurata: la certezza di stare uniti con lui, di dimorare nell'amore del Padre (cfr Gv 14,3; 17,24) e di ricevere una "gloria" simile a quella del Figlio. Se il mondo disprezzerà i discepoli di Gesù, il Padre stesso li onorerà e li tratterà da figli (cfr Gv 5,44) rivelando loro il suo amore (Gv 17,24-26). |