Omelia (05-08-2012)
Marco Pedron
Sono qui per te

Domenica scorsa abbiamo letto il racconto della moltiplicazione dei pani. Oggi il vangelo ci presenta un brano di Gv, che non racconta l'istituzione dell'eucarestia ma più degli altri ne approfondisce il senso nel capitolo 6, quello che in queste domeniche d'agosto leggeremo.

L'eucarestia nella testa di Gesù (l'abbiamo visto domenica scorsa) è un dono d'amore per tutti.
A quel tempo c'era un gesto abituale che si faceva: ci si lavava le mani. Bisognava, cioè, purificarsi perché altrimenti se con le mani impure toccavi un cibo, mangiandolo, ti rendevi impuro. C'era quindi un mondo di persone e di cose pure, uno di cose impure. Ma Gesù mai imporrà questo. Anzi in Mc 7 (e lo troveremo in una delle prossime domeniche) c'è proprio una discussione enorme su questa cosa. Addirittura gli scribi vengono a posta per questo da Gerusalemme. Gli scribi erano i teologi ufficiali, erano il magistero infallibile dell'epoca; la parola dello scriba era la stessa parola di Dio. Quindi non è un semplice sacerdote di villaggio ma è la "Santa Sede" dell'epoca, che da Gerusalemme scende per l'inquisizione.
A noi può sembrare ridicola la cosa ma sotto ci sta una teologia completamente opposta. E perché vengono? Perché i discepoli di Gesù prendono cibo senza lavarsi le mani (Mc 7,1-23). Lavarsi prima di prendere cibo voleva dire: "Bisogna essere degni per accedere". Se sei puro, purificato, in regola, se rispetti le leggi religiose (tutte!) allora puoi accostarti alla tavola. Altrimenti no.
Gesù, invece, a tavola con sé aveva tutti gli impuri del tempo: pubblicani (i peccatori del tempo per eccellenza), peccatori, gente che non si lavava le mani, prostitute, gente dubbia ed eretici.
La teologia del tempo diceva: "Se sei puro puoi accostarti a Dio; se sei puro vai a Dio". Ma Gesù dice: "No, è l'amore di Dio che ti fa puro; è Dio che viene da te per farti puro". In quella teologia l'amore di Dio si merita. Ma con Gesù Dio è un dono per tutti, gratuito: Lui viene non perché siamo sani, belli e a posto; Lui viene perché siamo ammalati, bisognosi, vulnerabili, peccatori, feriti, persi e dispersi e viene per guarirci, per consolarci, per amarci, per servirci.
Il massimo lo si raggiungerà con la lavanda dei piedi. Dobbiamo pensare cos'erano i piedi a quel tempo. I piedi erano la parte del corpo più sporca. Infatti la gente andava in giro scalza e i piedi raccoglievano escrementi, sputi, polvere, di tutto. Più sporchi e immondi dei piedi no c'era niente! E che fa Gesù? Si alza e va a lavare ciò che c'è di più immondo. Questa è la buona notizia.
Per quanto tu ti senta sporco, indegno, fallito o per quanto tu abbia sbagliato, rinnegato il Signore, Lui viene per te. Lui viene per amarti, Lui viene proprio perché tu hai bisogno del suo amore.
Se tu hai tre figli e uno si ammala, cosa fai? Ti prendi cura soprattutto di lui perché è ammalato. Dio è così: Lui ama tutti e soprattutto quelli più "ammalati" (che la società chiama eretici, peccatori, lontani) perché questi ne hanno più bisogno.
Nessuno si deve mai sentire indegno di Lui; nessuno si deve mai sentire immeritevole di Lui.

Alcuni dicono: "Eh no, anche San Paolo dice che bisogna essere degni per accedere all'eucarestia" e citano il passo di 1 Cor 11,17-33, dove effettivamente si dice così.
Ed è importante che ci soffermiamo un attimo perché quando leggiamo la Bibbia o i vangeli dobbiamo fare attenzione. Infatti se noi prendiamo una frase, un versetto e la estrapoliamo dal contesto riusciamo a fargli dire l'esatto contrario di quello che l'autore voleva dire.
In 1 Cor 11,27 si dice: "Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna".
Sono parole fortissime, tremende, da far paura. Noi abbiamo tradotto "essere indegno" come "non essere in grazia". Se è così allora si accede all'eucarestia solo se confessati, puri e assolutamente lindi. Ma è proprio così? E' proprio questo che San Paolo vuole dire?
Qual è questo modo indegno? Paolo non si riferisce alle colpe che possono avere i partecipanti al banchetto eucaristico e in nessun modo si rifà ai peccati o alle situazioni di vita (divorzio, separazione, peccati, colpe, ecc.) che in qualche maniera separano l'uomo da Dio.
Paolo inizia dicendo: "Perciò" (1 Cor 11,27): quel "perciò" è collegato alla denuncia che Paolo fa nei versetti precedenti. Quale? Nei primi tempi l'eucarestia non aveva questa forma rituale di oggi ma era un banchetto, la condivisione del cibo durante il quale si benediva e si ringraziava il Signore, si annunciava la sua parola e si mangiava il pane e si beveva il vino.
L'eucarestia del primo secolo, della prima chiesa, non era per niente la nostra eucarestia: era una cena dove ciascuno portava un po' di cibo e si mangiava insieme, ricordando il Signore. Non c'era né prete, né altare con pane e vino. Quindi l'eucarestia alla quale Paolo si riferisce è questa.
Ma cosa succedeva nella comunità di Corinto? Succedeva che i ricchi portavano le loro provviste e se le mangiavano tutte loro. Per cui c'era una comunità dove i ricchi mangiavano, si ingozzavano e si ubriacavano e i poveri stavano a guardare. Cioè era un'eucarestia dove non c'era la condivisione.
E' questo che denuncia Paolo: non si rifà quindi ad un esame di coscienza, ai peccati (chi è in peccato è "indegno" di partecipare all'eucarestia), ma all'ingiustizia di una comunità dove si faceva la comunione senza che ci fosse comunione fra gli individui (1 Cor 11,17-22: "Quando vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e bere? O volete gettare disprezzo sulla chiesa di Dio e far vergognare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo").
Questo è il mangiare il corpo e bere il vino in maniera indegna: non in chi ha peccato, in chi è lontano, in chi "non è in grazia", ma in chi mangia, beve, si diverte, gode ed è insensibile, senz'occhi per chi non ha niente di niente.
Indegno quindi non è il peccatore ma riempirsi di cibo e di vino quando chi ti è vicino muore. "Indegni" per Paolo sono tutti i ricchi insensibili ("Ma non hai un cuore?") che, giusti nelle loro regole, lasciano morire, languire, sopravvivere, le altre persone.
Capite che è un po' diverso ciò che Paolo voleva dirci!

Dopo la moltiplicazione dei pani la folla vuole farlo re (Gv 6,15). Vedete come la gente ha bisogno di potenti: Gesù ha moltiplicato i pani (cioè è potente) e la gente lo vuole come loro re. Ma se lo vogliono fare re (e sapevano bene che disastri avevano combinato i re) è perché vogliono sottomettersi: la gente non vuole la libertà, vuole essere comandata, vuole regole, vuole potenti. Per questo il re dell'amore morirà solo. Un re così, capace di fare miracoli e dare pane per tutti, l'avrebbero però voluto ben volentieri.
Allora Gesù scappa (Gv 6,15.22.24) ma lo trovano (Gv 6,25) e gli dicono: "Rabbì quando sei venuto qua?". Questi continuano a cercarlo per farlo re. Questi vogliono pane di farina, materiale da Gesù.

Per questo Gesù gli deve dire: "Voi mi cercate perché avete mangiato e vi siete saziati. Procuratevi il cibo che non perisce, quello che dura per la vita eterna" (Gv 6,26-27).
In greco ci sono due modi per dire "vita": la bios è la vita fisica, biologica, quella che inizia e finisce e la zoè è la vita interiore, spirituale, quella indistruttibile e senza fine (eterna).
Tutti sanno che se non si mangia si muore. E' ovvio! Così per la vita interiore (la zoè): se non la nutri muore. Ma quanti si preoccupano di nutrirla? Quando chiedete alle persone: "Come va?" e vi dicono: "Tiro a campare; si va avanti; finché c'è la salute; i miei figli sono la mia soddisfazione". Sono rimasti alla vita fisica (bios). Non sono passati alla vita interiore; forse non sanno di avere un'anima. O forse hanno paura di scoprire di avere un'anima.
Avete presente la favola famosissima di Esopo, la formica e la cicala? Durante l'estate la formica lavorava duramente, mettendosi da parte le provviste per l'inverno. Invece la cicala non faceva altro che cantare tutto il giorno. Poi arrivò l'inverno e la formica ebbe di cui nutrirsi, dato che durante l'estate aveva accumulato molto cibo. La cicala cominciò a sentire i morsi della fame, perciò andò dalla formica a chiederle se potesse darle qualcosa da mangiare. La formica le disse: "Io ho lavorato duramente per ottenere questo e tu che cosa hai fatto durante l'estate?". "Ho cantato" rispose la cicala. La formica esclamò: "Allora adesso balla!".
Le persone si lamentano e s'arrabbiano quando ad un certo punto della loro vita le relazioni finiscono, si rompono oppure quando sono depressi, tristi, oppure quando si sentono abbandonati o vivono senza trovare un senso o sentono che la vita fa schifo. Mi dispiace, ma cos'hanno fatto prima? Sono stati come la cicala? Cos'hanno costruito?
La vita è esattamente la risultante delle nostre scelte. Ciò che costruisci te lo ritrovi. Ciò che non nutri, che non sviluppi, di cui non ti prendi cura, muore, si secca, si perde. Ci poteva essere ma poiché tu non te ne sei preso cura, è morto.
Lyn Balfour, nel 2008, ha dimenticato il suo bimbo di nove mesi in auto per tutto il giorno finché lei era al lavoro. Ed è morto. Drammatico! Ma è meno drammatico far morire la nostra anima? E' meno drammatico far morire la vitalità che abbiamo? E' meno drammatico non essere ciò che possiamo essere? E' meno drammatico vegetare?
Un uomo non si è mai interessato di ascoltare sua moglie: lui aveva altro da fare. "E poi, cos'è tutto questo guardarsi dentro? A che cosa serve?". Lui non aveva bisogno di crescere, di imparare ad ascoltarsi, a dialogare, a dare un nome a ciò che c'è dentro, ecc. Dopo dieci anni lei se ne è andata. Lui adesso si attacca a Gesù, all'indissolubilità del matrimonio; fa la vittima: "Guarda cosa mi succede!", ma la verità è che ha lasciato morire la sua anima. E quando lei se n'è andata, lui gli ha chiesto: "Vorrei proprio sapere perché te ne vai? Ti manca qualcosa? Ti tratto male? Ti picchio? Hai tutto!". "Perché me ne vado? Perché sei morto e io voglio vivere. Ho tutto di cose... ma niente di vivo". Hai cantato? Adesso balla!
Una donna non si è mai guardata dentro perché aveva tante cose da fare in casa. Ogni paura la accantonava, ogni possibile voce interiore veniva zittita. Adesso è depressa. E si chiede: "Ma perché?". E cosa pensavi che potesse accadere? Hai cantato... adesso balla.
Di cosa si nutre l'anima? Di silenzio, di stupore, di conoscenza che ti cambia, di meraviglia, di svelarsi, di emozioni, di verità, di preghiera, di libertà, di autonomia, di amore, di generosità, di riconoscenza, di gratuità, di entusiasmo, di ardore, di valori, di fermezza, di cielo... di Dio.
Merzenich ha mappato le aree specifiche del cervello di una scimmia che venivano attivate quando le veniva toccato un certo dito della mano. Poi le ha insegnato a usare prevalentemente questo dito per ottenere il cibo. Quando Merzenich ha nuovamente mappato le aree attivate dal tocco nel cervello della scimmia, ha scoperto che l'area che rispondeva ai segnali provenienti dall'uso supplementare di quel dito s'era allargata quasi del 600%. La scimmia continuava quel comportamento, anche se non otteneva più nessuna ricompensa, perché la via nervosa si era rinforzata. Ogni prima volta noi creiamo una connessione.
Se la scimmia veniva costretta a smettere di usare quel dito, l'area del cervello dove avvenivano queste connessioni nervose cominciava a ridursi di dimensioni e quindi la neuro associazione diventava più debole. Se non usate, nutrite l'anima, la perderete. Se non usate una passione, anch'essa finirà per scemare. Se una cosa non la usate, finirà. Se non si usa cosa, non la coltivate, la perderete. Se il coraggio non viene usato, diminuisce. Se l'impegno non viene usato, svanisce. Per questo è necessario l'uso, la ripetizione, l'esercitarsi, finché un giorno sarà così automatico che ci sembrerà semplicemente istintivo.

Gesù poi dice: "Credete in me, in colui che Dio ha mandato" (Gv 6,29). Ma loro dicono a Gesù: "Quale segno ci fai perché possiamo crederti?" (Gv 6,30).
Chi non crede chiede segni, cioè miracoli. Poiché non crede, chiede qualcosa che lo faccia credere, che lo costringa a credere; chiede un segno al quale lui si sottometterà. Ma Dio non vuole sottomessi, vuole uomini liberi che lo seguono non perché costretti dalla legge o da un miracolo ma perché lo amano e lo sentono nel loro cuore.
Un'altra volta gli diranno: "Maestro, vorremmo che tu ci facessi un segno" (Mt 12,38). E lui risponderà: "Generazione perversa e adultera (parole forti, eh!) che pretende un segno. Nessuno segno vi sarà dato se non il segno di Giona profeta (=conversione)" (Mt 12,39). Gesù non dà miracoli, segni, ma chiede a te di diventare un miracolo e un segno per altri.

E poiché Gesù non soddisfa questa loro richiesta ("Che segno ci fai?") ecco che la loro resistenza si butta sul classico tema del passato: "I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto..." (Gv 6,31).
La persona sottomessa si rifà sempre al passato, a ciò che è stato (e che non è più), a ciò che fu. Il sottomesso preferisce andare nel sicuro, nella certezza, non è capace di vivere il nuovo. E' troppo per lui: lo mette troppo in cambiamento.
Qui gli chiedono di rifare il miracolo della manna, del pane dal cielo (così veniva chiamata la manna). Ma a problemi vecchi bisogna dare risposte nuove: le vecchie non hanno funzionato (altrimenti i problemi non ci sarebbero più!).

Gesù risponde: "Non Mosè vi ha dato la manna ma il Padre mio" (Gv 6,32).
Il vero pane dal cielo (e non la manna) è quello che discende dal cielo e che ti fa vivere, che dà vita. Quello non è il pane del fornaio ma è il pane che ti fa vivere. Non è questione di essere ingolfati di cibo ma pieni di vita, vivi, vitali.
Famosa è la storia del re Mida che ottenne dagli dei il dono di poter trasformare tutto in oro. Non gli sembrava vero, tutto ciò che toccava si trasformava in oro: alberi, sassi, legno, vestiti. Ma la sera di quel giorno ebbe fame. Prese un pezzo di carne per mangiarlo ma si trasformò in oro. Prese della verdura e si trasformò in oro. Prese del pane e si trasformò in oro. E così, pieno d'oro, morì di fame. Non sono le cose che ti faranno felice. Nessuno ti può far felice perché tu non lo sei.
Il re era molto triste. Allora il consiglio si riunì per far felice il re. Organizzarono una meravigliosa battuta di caccia: il re fu soddisfatto ma il giorno dopo era di nuovo triste. Organizzarono una meravigliosa festa, con danze, balli, giocolieri, cibo, vino, allegria e tutte le persone conoscenti del re: fu molto soddisfatto ma il giorno dopo era ancora triste. Gli misero vicino delle donne bellissime e disponibili, tutte per lui. Fu soddisfatto ma continuò ad essere infelice. Allora l'anziano del consiglio andò dal re e gli disse: "Mio sire. Nessuno la può far felice perché la sua infelicità è dentro".

Allora gli dicono: "Dacci questo pane". E Gesù: "Io sono il pane" (Gv 6,34-35).
Gesù è il pane. Il pane lo mangi ogni giorno. Ogni giorno hai fame e ogni giorno lo mangi. E lui viene da te sempre perché sa che ogni giorno ne hai bisogno.
Allora: Lui vuole essere come il pane. Lui viene da noi sempre perché sa che ne abbiamo bisogno. Non dice: "Ancora? Ma tu non cambi mai! Adesso basta! Ma tu chiedi sempre!". Dice: "Tu ne hai bisogno, io vengo; io sono qui per te; io mi offro a te".
L'amore è questo, nient'altro: "Io sono qui per te. Io sono qui per aiutarti, amarti, darti una mano, guarirti, nutrirti, servirti, coccolarti, abbracciarti".
Ogni volta che andiamo dal sacerdote con la mano aperta noi diciamo: "Io ho bisogno di te". E lui venendo non dice altro: "E io non vedo l'ora di venire. Io sono qui proprio per te".

Pensiero della Settimana
Noi non siamo qui per guarire dalle nostre malattie.
E' la malattia che è qui per guarirci.

(C. G. Jung)