Omelia (12-08-2012)
Giovani Missioitalia
Hanno mangiato la manna nel deserto

"Aspettare la manna dal cielo" è, nel comune modo di pensare, il mestiere dello scansafatiche, di chi attende passivamente la soluzione magica dei propri problemi, rinunciando ad affrontarli con la forza di una fede attiva che porta ad agire, spinti dall'esortazione, che è anche un'altra efficace espressione popolare: "aiutati che Dio t'aiuta". Eppure l'aiuto, l'amore di Dio per l'umanità è anche testimoniato proprio dalla manna che è data in assoluta gratuità, senza che questo pane, unica salvezza del popolo disperso nel deserto, sia stato richiesto.
Il pane della vita eterna, però, non è la manna, quella che può indurre a rimanere staticamente con gli occhi rivolti al cielo in attesa che venga a saziare i morsi della fame, ma è una persona: Gesù Cristo, colui che il Padre ha mandato come esempio di vita per il mondo. E Gesù ci invita ad essere suoi discepoli per diventare noi stessi, in sua memoria, pane spezzato, testimoni della condivisione e della fraternità, donando la nostra vita al prossimo, soprattutto a chi è povero e a chi è nella sofferenza. La difficoltà di essere pane di vita è sentita in modo particolare da chi ha o ha avuto l'impegnativo ed imbarazzante privilegio dell'esperienza missionaria in quelle parti del mondo dove anche un solo pezzo di pane ed un sorso d'acqua possono determinare la sopravvivenza di una persona. Il missionario sa bene che la fame nel mondo non può risolversi stando con il naso all'insù, perché l'assenza di cibo per le popolazioni più povere non è un castigo divino, ma più semplicemente una conseguenza dell'ingiustizia, dell'egoistica ed iniqua ripartizione dei beni della terra tra gli uomini. Ma proprio dall'immersione in questa realtà così scandalosamente umana, nasce la necessità di trovare una dimensione di vita contemplativa che non contraddica ma, invece, sostenga l‘impegno nella solidarietà e nella promozione umana nei confronti dei poveri. Nella contemplazione si può fare esperienza del "pane della vita" per imparare a donarlo con la nostra stessa vita agli altri, a chi ha fame e sete anzitutto di giustizia, premessa della carità e della verità.
E noi, al posto dei Giudei che mormorano scandalizzati sentendo le parole di Gesù che si definisce "il pane disceso dal cielo", quando tutti sanno, invece, che è il "figlio di Giuseppe", come avremmo reagito? E' molto probabile che, più prosaicamente di loro, ci saremmo messi a sghignazzare, magari a denti stretti per simulare un qualche rispetto. Né il moralismo né l'indifferenza fanno giustizia nello spezzare il pane e una vita donata per il prossimo è sempre un esempio sublime di amore e una prova tangibile della presenza di Dio nella storia dell'umanità.



Il commento al Vangelo di domenica 12 agosto Gv 16, 41-51 è di Anita Cervi ella Diocesi di Verona