Omelia (12-08-2012) |
don Alberto Brignoli |
Un Angelo e un Pane "Ora basta, Signore! Prendi la mia vita!". Quante volte Dio, da ogni angolo della terra, si sarà sentito gridare questa frase... Sarà stato il malato terminale, corroso nel suo corpo da un male che sembra non finire mai, e al quale spesso si associano, beffardi ma indispensabili, gli accanimenti delle terapie palliative. Sarà forse un anziano, rinchiuso in un ospizio, oppure rimasto in casa ad affrontare l'insopportabile afa estiva, da solo, senza nessuno con cui condividere la pesantezza delle gambe che non lo reggono più, il buio degli occhi che vedono ormai poco o nulla, la chiusura dell'udito che non permette di sentire nemmeno una televisione a tutto volume, e spesso facendo i conti con un mondo che non è più suo perché d'improvviso si ritrova dove non pensava di essere, o peggio, dove pensava che non ci sarebbe andato mai... "Ora basta, Signore! Prendi la mia vita!". Come il grido di tanti popoli della terra, oppressi, esiliati, maltrattati e mal sopportati dai popoli vicini assetati delle loro terre e delle loro ricchezze; come il grido dell'uomo della strada, stanco di dover cambiare letto ogni notte per ritrovarsi alla fine sempre sotto lo stesso portico, a litigare per un pezzo di cartone da condividere con un drogato, a scappare dai giustizieri della notte che devono lasciare "pulite" le strade per potervi rigettare le proprie sbronze, ad inseguire una coppietta in abiti eleganti per chiedere qualche spicciolo... Come il grido di ogni disperato che spesso non esce neppure fuori e rimane soffocato in gola da una corda stretta intorno al collo, o affogato in un cocktail di alcool, fumi e veleni... Mi pare di sentirlo, questo grido: "Prenditi la mia vita, Dio; riprenditi questo schifo di vita che nessuno ti ha detto mai di darmi e a cui pochi, molto pochi, hanno voluto veramente bene. Gettala via tu, perché non so più che farmene!". Quanta gente grida così, a Dio, da ogni latitudine della terra. E non è necessario togliersi la vita per dire a Dio che a noi, questa vita, spesso pesa portarla, e sarebbe meglio poterlo non fare più: e che se lui ha voluto che camminassimo per le sue strade, che adesso venga pure a mettere fine ai nostri giorni e a dire "stop" ai nostri passi! Perché anche noi, come Elia, "non siamo migliori dei nostri padri", non abbiamo maggiori titoli o più capacità rispetto a chi ci ha preceduti nella vita, per cui non vediamo perché dobbiamo subire tutto quello che altri non hanno subito. "Perché mai - direbbe Elia - devo essere io quello che paga per le scelleratezze di una regina assetata di sangue innocente? Perché devo essere io quello che riporta verso l'essenzialità e l'originalità della fede un popolo che di Dio non ne vuole proprio sapere?". Perché insistere, come Chiesa - diremmo oggi - ad annunciare il Vangelo ad un mondo che di Dio non ne vuole proprio sapere? Perché insistere a cercare vita laddove tutto ci parla di morte? Siamo forse noi cristiani migliori degli altri? Abbiamo, noi uomini di Chiesa, qualche dote in più? Credo proprio che nessuno di noi lo pensi... per cui, Dio, di fronte a tanti insuccessi, riprenditi la nostra vita. Se sei tu che ci hai scelti per essere tuoi servi, riprenditi pure la responsabilità di richiamarci a te. È vero. È Dio che sceglie l'uomo, mai il contrario. È "il Padre che attira a sé" chi crede in lui, come ci dice Gesù nel Vangelo di oggi. Ci attira a sé per portarci per mano a fare esperienza della vita e conoscerlo per ciò che lui è, ovvero il Signore della storia e quindi anche della "nostra" storia. Dio prende la nostra vita e, come quella di Elia, la guida per un deserto fatto di incomprensioni, di persecuzioni, di sofferenze, di difficoltà, di aridità, di voglia di farla finita... Ma il deserto di Dio è fatto anche di meravigliosi incontri con lui e con la sua misericordia. È fatto di angeli custodi che incrociano il nostro cammino e ci danno coraggio, conforto, aiuto. Per un ragazzo solo che brucia la sua vita nella banalità di un bicchiere di vino, o in una smodata corsa con l'auto, o nel gioco vizioso delle commesse sportive, o nel fumo rilassante di qualche sostanza, capita spesso che ci sia un angelo di cui - non sa bene come - si innamora, e che con amore lo scuote dalla sua noia, e lo invita ad attaccarsi a lui, e a volare, alto, laddove possa sognare ciò che la vita non gli ha permesso di sognare, ma soprattutto a volare lontano da ciò che gli dona una pace solo apparente. E magari capita anche che non ci si accorga subito di questi angeli e del loro pane di vita. Pensiamo, come Elia, che sia qualcosa di cui servirci al momento, come un amore "mordi e fuggi", e poi, arrivederci e grazie, e si torna coricati ad aspettare la morte. Ma l'Angelo della Vita ci scuote e un'altra volta ci chiede di mangiare e bere dalla sua mensa, perché - e nessuno lo nega - "il cammino per te è troppo lungo", e da solo non ce la puoi fare, e di certo non basta una volta sola per volare là dove lui ci vuole condurre. Se è vero, come lo è, che crediamo nella forza dell'amore, c'è per noi un Pane di Vita che non è come tutti gli altri tipi di pane che ogni giorno, in maniera diversa, proviamo sulla nostra o sull'altrui mensa. Quello che l'Angelo della nostra Vita ci porta, è tutto un altro pane. E quello che l'Angelo di Dio porta a chi crede all'amore di Cristo è il Pane di Vita, ed è un altro pane proprio perché è "altro", perché è "l'Altro"... Sì, stiamo parlando di quel Pane della Vita che è l'Eucaristia, che è Cristo stesso... quel Pane che è simile alla manna nel deserto, perché anch'esso è disceso dal cielo; solo che questo Pane non marcisce il giorno dopo, e per di più chi ne mangia morirà sì, come ogni uomo, ma portando dentro di sé il germe della vita nuova, della Resurrezione... Non rifiutiamo questo Pane. Non proviamolo una volta soltanto, saltuariamente, per fare un piacere alla moglie, o alla mamma, o per onorare la memoria di una persona cara il giorno del suo funerale; non disdegniamo di spezzarlo, attraverso sacrifici e rinunce, con i popoli della terra che non hanno il pane quotidiano da spezzare sulla mensa di ogni giorno; non nascondiamoci dietro a un perentorio "non me la sento", "non ne sono degno", perché è vero, degni non lo saremo mai. Ma lui non ci si dona "in quanto degni di riceverlo". Non è "a causa" della nostra dignità di cristiani-modello che questo Pane è per noi il Pane della Vita, ma "in favore" della nostra dignità, cioè per poter essere sempre di più degni del nome di Cristiani. Lui ci si dona perché vuole che in lui, mangiando di lui, abbiamo vita, e vita in abbondanza; talmente abbondante da fare in modo che venga donata ad ogni uomo. Rialziamoci, quando cadiamo a terra prostrati dalla vita: rialziamoci, guardiamo al nostro Angelo del Cielo, e mangiamo il Pane che egli ci offre. Il cammino è troppo lungo per noi, questo è certo: ma con la forza dell'amore che si fa nostro cibo, ce la possiamo e ce la dobbiamo fare. |