Omelia (12-08-2012) |
don Luciano Cantini |
Per la vita eterna Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: "Sono disceso dal cielo"? I giudei, con il loro mormorare, ci rivelano la contingenza dell'uomo Gesù: vissuto oltre duemila anni fa in un villaggio della Palestina. La sua realtà è ben delineata e contrasta - come i giudei mormoravano - con la sua affermazione di essere disceso dal cielo. Gesù afferma di provenire da una dimensione altra rispetto a quello che i suoi conterranei vedevano e conoscevano. Non è una obiezione che si limita all'allora, anzi diventa più forte oggi in cui le distanze sono aumentate, la storia ha fatto i suoi percorsi, la società ha problemi e proiezioni diverse. Non ci sono termini di paragone di alcun genere per trovare assonanze tra quel tempo e l'oggi, come quel figlio di Giuseppe può coinvolgere la mia vita di uomo tecnologicamente moderno in una società dominata dall'economia, in cui lo spazio è azzerato e il mondo si è fatto piccolo. Solo colui che viene da Dio ha visto il Padre A questa incognita se ne aggiunge una seconda, perché nessuno ha visto il Padre, Dio. Chi è questo Dio e Padre? Perché l'uomo ne parla con sicurezza quasi l'avesse incontrato; eppure lo ha fatto suo, sentenzia in suo nome, ne interpreta la volontà; nel suo nome ha creato confini e divisioni, ha condotto battaglie (è sintomatico che nel calendario liturgico della Chiesa latina si continui a ricordare la vittoria nella battaglia di Lepanto): ecco il Dio dell'uomo, quello che l'uomo non può conoscere perché non lo ha mai incontrato. Nella storia della umanità e delle religioni si legge l'inutile annaspare dell'uomo verso Dio. Mistici, fondatori e rifondatori, santoni e guru, filosofi e teologi, ognuno con la sua verità e la sua via per raggiungere Colui che non è conosciuto né incontrato e che ciascuno immagina secondo le proprie categorie, esigenze e fantasie. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Gesù, il figlio di Giuseppe fa una proposta disarmante, talmente assurda da provocare scandalo e fuga: ... la mia carne per la vita del mondo. È proprio l'assurdità della sua proposta che la rende universale da abbattere i limiti dello spazio e del tempo. Non propone un'idea, una filosofia, una via mistica, neppure una religione ma ci offre la sua carne come pane della vita. Non è un gesto o un rito sacramentale che ci chiede - di cui abbiamo pur bisogno per mantenerne la memoria - ma di lasciare coinvolgere la nostra vita dalla sua. Chi crede ha la vita eterna: la parola carne è una parola forte perché indica l'aspetto più materiale della vita, il meno elevato ed ascetico, il più semplice ed immediato, quello più umano. È la sua umanità che incontra e si mischia con la nostra, che entra nel nostro tessuto e che si fa nutrimento, sconvolge le nostre logiche umane, ne fonda di nuove, sconquassa le relazioni, le scale di valori, le aspirazioni dell'uomo, trasforma la vita della storia in vita eterna. |