Omelia (19-08-2012)
don Luciano Cantini
Pane, carne e sangue

«Come può costui darci la sua carne da mangiare?»
Nel libro del Levitico (17,14) si legge: "la vita di ogni essere vivente è il suo sangue, in quanto sua vita; perciò ho ordinato agli Israeliti: Non mangerete sangue di alcuna specie di essere vivente, perché il sangue è la vita d'ogni carne; chiunque ne mangerà sarà eliminato". Questo comando è ripetuto più volte nella scrittura e il discorso che Gesù ha fatto alla folla doveva apparire profondamente scandaloso e incomprensibile. Giovanni gli dedica invece molto spazio ripetendo più volte le stesse cose perché rimanessero ben fisse nella mente di chi ascoltava il suo Vangelo. Si dice che qui Giovanni ha espresso quanto non ha detto nel racconto dell'ultima cena, ed è vero, perché nelle sue parole si legge la profondità di un mistero e la ricchezza di una profezia ed è molto di più di quanto raccontano Paolo e gli altri evangelisti a proposito della Eucarestia.

«In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita»
Giovanni va molto oltre il racconto del rito che non cita per nulla. Si dice che, quando Giovanni scrive il suo vangelo, le comunità cristiane stessero già praticando la celebrazione eucaristica e che il racconto della istituzione sarebbe stato pleonastico. Forse Giovanni invita ad una correzione di quanto le comunità cristiane stavano celebrando ed ancora oggi celebrano: il superamento del rito in quanto tale. Se il rito è necessario all'uomo ed è connaturale alla sua espressione, la ritualizzazione ne soffoca il significato e lo priva di contenuto; sintomatici sono gli interventi dei Profeti riguardo agli olocausti nel tempio.
Giovanni nell'ultima cena parla della lavanda dei piedi, quando Gesù depone la sua vita ai piedi dei suoi discepoli e chiede di fare altrettanto. Ma parla anche di tradimento e di un boccone che perde il suo significato di comunione.
La questione non è un rito da compiere ma "avere in voi la vita": la comunione profonda con il Figlio, così come Lui vive per il Padre. Questo è il punto: se questo non è l'obiettivo ogni rito perde il suo senso.
La carne e il sangue che Gesù offre è il suo sacrificio per la vita del mondo, mangiare la sua carne e bere il suo sangue è entrare in questa ottica di sacrificio: "Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi" (Gv 13,15). Il mistero della Croce incombe sulla vita di Gesù e sulla vita dell'uomo.

«Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno»
Ma come comprendere la croce senza inabissarsi nel mistero della incarnazione? Il "Verbo si è fatto carne" (Gv 1,14) ha penetrato la vita fragile, ferita e mortale dell'uomo; quella carne fragile, ferita e mortale il Signore ci offre per la vita eterna.
La manna nel deserto era soltanto il segno profetico del pane che il Signore ci dona, che non è un "segno" come il pane che è stato distribuito ai cinquemila sul monte, ma lui stesso, scevro da ogni potere, umiliato e ucciso. Dio manifesta la sua potenza nella estrema debolezza della carne.