Omelia (19-08-2012)
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COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di Rocco Pezzimenti

1. Questi pochi versetti di Giovanni raccolgono in sé l'essenza della nostra fede e i misteri a essa legati. Si tratta di un brano che ci invita a un grande bagno di umiltà perché qui la nostra ragione deve uscire dalla sua presunzione, che poi è la radice di ogni peccato, e deve ammettere di non capire questo gesto di donazione che solo l'amore di Dio può compiere. Mangiare il pane per vivere può sembrare scontato, ma per vivere in eterno lascia perplessi. Se poi questo pane e questa carne sono quelli del corpo di Cristo il discorso diventa ancora più duro, se vogliamo incomprensibile. La natura umana sembra ribellarsi di fronte una simile assurdità.

2. I suoi interlocutori, anche allora, capirono perfettamente che Gesù parlava del suo corpo tanto è vero che "i Giudei presero a discutere tra loro dicendo: Come può costui darci la sua carne da mangiare?". Non avevano frainteso, avevano capito benissimo, ma più che farsi umili, chiedere, cercare la risposta nella fede, pretesero una risposta logica. Di fronte a un estremo atto di donazione, di amore senza limiti, pretesero di calcolare, di ragionare in termini scientifici. Il risultato fu che non prestarono ascolto né alla promessa, né alla spiegazione. La promessa: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell'ultimo giorno".

3. A spiegazione ricorda che si tratta di un pane diverso da quello che mangiarono i loro padri nel deserto perché costoro morirono, invece "chi mangia questo pane vivrà in eterno". Lo giustifica ancora dicendo di essere mandato dal Padre che conosce solo la vita e non la morte: "il Padre, il Vivente, ha mandato me e io vivo per il Padre, così chi mangia di me vivrà per me". È l'unico gesto che consente quello che cerchiamo: la nostra "divinizzazione". Come dice Agostino, infatti, Cristo è nato uguale al Padre e resta uguale al Padre, solo noi diventiamo migliori partecipando della sua vita, "il che appunto viene significato da questo mangiare e bere".

4. La sua esistenza viene in soccorso del mio annientamento e, per partecipare di questa esistenza, non c'è altra via che vivere in comunione con lei. Per questo, oggi, san Paolo ci ammonisce: "Non siate, perciò, disavveduti, ma cercate di comprendere quale sia la volontà del Signore". Questo significa essere saggi, "approfittando bene del tempo presente, perché i giorni sono cattivi".

5. Mettersi in ascolto del Vivente e del suo mistero è questo quello che dobbiamo fare e che ci raccomanda la prima lettura. Il Signore si rivolge anche a chi non ha consuetudine col suo mistero: "a chi è privo di senno voglio parlare", e tutti un po' lo siamo nella via della sapienza. "Lasciate le follie e vivrete e progredirete nella via dell'intelligenza". La vera intelligenza, infatti, è capire il senso della vita e il misterioso dono della vita eterna che solo questo pane e vino, "che ho mescolato per voi", ci potranno dare.