Omelia (19-08-2012) |
Gaetano Salvati |
Commento su Giovanni 6,51-58 "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui" (Gv 6,56). Le parole del Signore rivelano il senso della vita cristiana: accettare l'offerta che l'Altro fa di se stesso ed essere disponibili ai bisogni del prossimo. Eppure, anche sulle nostre labbra si pone la domanda: "come può costui darci la sua carne da mangiare? (v.52). Una domanda che interroga sempre il nostro cuore, poiché l'esito della risposta può far impegnare o meno l'esistenza per il Signore. Ma, è il Salvatore stesso che scosta ogni dubbio: egli afferma che non possiamo avere la vita vera se non mangiamo il suo corpo, "vero cibo e vera bevanda" (v.55). Accostandoci alla mensa eucaristica, masticando il corpo di Cristo, veniamo assimilati a Lui e resi partecipi della comunione con il Padre; dunque, la vita eterna, che sarà piena e definitiva dopo la risurrezione finale, è anticipata già in questa vita: il suo amore, disponibile per tutti nel pane eucaristico, ci trasforma in creature nuove, siamo uniti a Lui, e per questo, in grado di ringraziarLo per i benefici che ci concede. Accostarsi alla mensa del Signore, lasciarsi inebriare dall'ebrezza dello Spirito tanto da "rendere continuamente grazie per ogni cosa a Dio" (Ef 5,20), significa considerare che la nostra vita è una mensa eucaristica. Infatti, mangiare la carne di Cristo significa riconoscere che l'essenza della nostra vita non è la mediocrità, il peccato, bensì una nuova storia, scritta con il Suo sangue. Ora, come la vita nuova, quella eterna, ci viene data dall'Alto, gratuitamente il Signore si fa pane per l'uomo, anche noi dobbiamo impegnarci perché ciò che abbiamo ricevuto in abbondanza sia condiviso con tutti i fratelli: se siamo pane trasformato dalla grazia di Dio, dobbiamo spezzarci per coloro che non si sono ancora accorti della luce del mondo. Amen. |