Omelia (26-08-2012) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La fatica di credere "Le parole (sul pane di vita) che vi ho detto sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni di voi che non credono." Con questi termini Gesù, che ha dimostrato concretamente di essere lui il Pane vivo disceso dal cielo per mezzo dell'eloquente miracolo della moltiplicazione di pani e pesci presentando poi la necessità che l'uomo mangi sempre la sua carne e beva il suo sangue per la vita, adesso invita tutti all'accoglienza libera e disinvolta del suo messaggio. Le argomentazioni trattate sono stare chiare, nella sua esposizione Gesù è stato esplicito e anche un miracolo, quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci, è stato allusivo e determinante. Il suo discorso sul pane vivo disceso dal cielo ha assunto per tutti connotati di concretezza; adesso spetta a coloro che hanno ascoltato accettare quanto Gesù ha proferito e conformarsi ai contenuti del suo annuncio, appunto attraverso la disposizione all'ascolto e all'accoglienza che è la fede. Nella domenica precedente avevamo osservato che il Pane di vita comporta necessariamente la coerenza di vita pratica per mezzo di una condotta sapiente e caritatevole, ma questo non può di fatto avvenire se alla sapienza e alla carità non sia associa la virtù dell'accettazione libera del dono della Rivelazione che è appunto la fede indiscussa e incondizionata e per questo adesso Gesù invita a "credere e a vivere". Cosa che risulta alquanto difficile agli attoniti suoi ascoltatori. Come abbiamo osservato sempre nelle precedenti liturgie, nutrirsi del corpo di una persona equivaleva nella vecchia cultura ad antropofagia ingiustificata e spropositata, che non poteva che essere ripudiata; ciò spiega l'enorme stupore degli interlocutori del Signore, sia giudei che discepoli: "Come può lui darci la sua carne da mangiare?" Non avevano colto la portata reale del suo messaggio, che riguardava un mangiare metaforico quanto ad assumere, vivere, conformarsi interamente a lui, come pure un pasto sacramentale che si da' nell'Eucarestia, dove pane e vino di fatto diventano il Corpo e Sangue del Signore. Nonostante la chiarezza e la nitidezza di questi insegnamenti, non avevano compreso il reale senso delle parole del Signore e pertanto adesso provavano grande difficoltà nell'accettare, nell'immedesimarsi, nell'accogliere, nel credere... insomma nell'aver fede. Gesù rimprovera in loro soprattutto il prossimo futuro discepolo traditore, colpevole in ultima analisi appunto di non essere stato all'altezza della vera fede nel Messia, come pure la durezza di cuore da parte dei Giudei. Neppure i discepoli tuttavia sono esentati dalle sue riprovazioni: anche essi si allontanano da lui una volta ascoltato un linguaggio del tutto estraneo alle loro aspettative. Eppure proprio loro avevano assistito al prodigio della moltiplicazione dei pani e ad altri miracoli del loro Maestro e avevano anche ascoltato numerosi suoi insegnamenti che lo avevano reso credibile.... Proprio i discepoli se ne vanno da lui, assumendo un atteggiamento di rifiuto quasi simile a quello dei Giudei. Il che non deve affatto stupire, visto che il dono della fede non è una realtà da considerarsi superficialmente e senza impegno: essa comporta l'accettazione del dono assoluta e disinvolta del dono che Dio ci fa' di se stesso e del suo messaggio, l'accoglienza libera e consapevole di questo dono, l'apertura incondizionata del cuore, l'asservimento dell'intelletto e della volontà al Mistero che ci viene rivelato pur restando tale. In altre parole, la fede è un credere e accogliere senza riserve e senza porre resistenza, ma questo non di rado comporta molto sacrifico e costa anche fatica, come dice il titolo di un libro intervista di Rahner "La fatica di credere". Anche l'Anno della fede, che fra poco si inaugurerà grazie all'iniziativa di Benedetto XVI, seppure apporterà notevoli benefici alla nostra vita spirituale, non mancherà di condurre alla considerazione dei problemi e delle difficoltà che comporta il credere, cioè il mettere da parte l'esasperata razionalità di fronte alle esigenze di un dogmatismo da altri ritenuto assurdo e ridicolo. Credere comporta infatti accettare dottrine come l'Incarnazione di Dio nel grembo di una Vergine, la verginità stessa di Maria prima, durante, dopo il parto, la sua Assunzione al Cielo in anima e corpo, la passione sulla croce di un Dio che potrebbe farsi valere con ben altri mezzi di onnipotenza, l' essenza stessa di Dio che è Uno solo eppure Tre Persone, insomma la nostra fede richiede un particolare eroismo atto a rilevare veridicità e attendibilità su alcuni punti che altrove vengono aberrati come assurdi e inconcepibili, in forza della sola giustificazione che "nulla è impossibile a Dio" Aver fede comporta anche accettare con rassegnazione l'esperienza delle ingiustizie, del dolore, della morte prematura di bambini e di persone innocenti, della malattia perenne e della sofferenza di tanta gente umile e meschina, mentre imperversano le prepotenze dei reprobi e degli ingiusti, cosa che ancora una volta è ritenuta inconcepibile razionalmente da chi sostiene un Dio capace di bontà concreta. Tante volte nella vita pastorale non bastano argomenti quali la "croce del Signore" o le sofferenze degli apostoli a legittimare il dolore e la sofferenza. La fede in effetti comporta molta fatica e se avviene che perfino i discepoli abbandonano il Signore dopo che questi ha parlato loro non deve meravigliarci che anche oggi parecchia gente si dia alla disfatta in conseguenza di smarrimenti e delusioni. Credere è insomma difficile anche se necessario e costituisce secondo alcuni una sfida o una scommessa, anche se alla fine conveniente (Pascal); ma come possiamo noi coltivare il dono della fede che Dio vuole concederci? Come non soccombere di fronte alle sfide e alle situazioni esistenziali che minacciano la nostra perseveranza nella fede? La risposta è una sola: la conversione. Accettare quanto Dio ci propone è infatti possibile e duraturo solamente dopo una previa, radicale trasformazione di noi stessi che comporti la fuga dalle nostre personali convinzioni e l'adozione di una mentalità e di una concezione "secundum Deum", nella quale il Trascendente possa davvero avere il primato nella nostra vita. La conversione allevia la fatica di credere fino ad estinguerla. Senza la conversione non si può esercitare il dono di accoglienza, di accettazione e di adesione alla Verità per il quale è necessaria la fede. Questa carenza è propria degli ascoltatori di Gesù che voltano le spalle e se ne vanno; fortunatamente non sussiste però nei Dodici apostoli che nonostante le difficoltà suddette esclamano: "Tu solo hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che sei il Santo di Dio", appunto avevano creduto in conseguenza di una presa di coscienza radicale. Fatto sta che il messaggio di Gesù non si può subordinare ai gusti e alle preferenze di alcun uomo e neppure lo stesso Signore adatta le sue parole a quelle che potrebbero essere le comodità di chi lo ascolta: infatti non si meraviglia e non cade in depressione vedendo tanta gente che scappa davanti alle sue parole dopo aver visto il suo miracolo e il suo messaggio resterà sempre invariato. La sua risposta, anche se tacita e indiretta, è simile a quella di Giosuè che si rivolge al popolo di Israele rivolto a Sichem con estrema categoricità e fermezza: "sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore" Quale prerogativa del resto è più necessaria della fede per l'accoglienza del Pane vivo disceso dal Cielo? |