Omelia (25-01-2004)
don Fulvio Bertellini
La rivelazione al mondo dell'uomo-Dio

Il Vangelo di Luca è forse quello che più consapevolmente intraprende il suo progetto; sicuramente è quello che più apertamente lo dichiara al lettore. Lo scopo del Vangelo è "scrivere un resoconto ordinato", perché ci si possa "rendere conto della solidità degli insegnamenti ricevuti". E mentre rileggiamo il prologo, viene spontanea una riflessione sul modo in cui Gesù si rivela a noi.
Certamente, si è rivelato in forma visibile, tanto che alcuni ne divengono "testimoni" (il termine greco è più preciso: "testimoni oculari", coloro che hanno visto di persona. Ma questa forma di rivelazione è per noi oggi inaccessibile: non possiamo più "vederlo", come lo hanno visto gli apostoli. Gesù oggi si fa presente in forma indiretta, appunto attraverso la "testimonianza" di coloro che hanno visto, e divengono "ministri della parola". La parola sostituisce l'esperienza diretta di Gesù che parla, che opera miracoli, che muore e che risorge. Ma anche questa realtà è per noi oggi inaccessibile: non possiamo ascoltare la viva voce di chi è vissuto con Gesù. Tuttavia le loro parole sono state scritte: Luca asserisce che "molti hanno posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi". Potremmo chiederci quanti fossero questi "molti". Gli studiosi discutono di quanti "vangeli" o fonti similari esistessero agli inizi del cristianesimo. Qualcuno cerca di ritrovare o ricostruire i primissimi documenti, che dovrebbero essere addirittura precedenti ai quattro vangeli. La ricerca è difficile, e non ha dato i risultati sperati. Non sappiamo quali ricerche abbia fatto Luca, né quali documenti avesse per mano: in mano a noi resta solo il suo Vangelo.

Una catena di testimonianze

Gesù si rivela dunque a noi attraverso un libro. E qui il dubbio ci assale: non è troppo poco? Certamente, il libro da solo non basta: il libro viene letto nella Chiesa, nella comunità di coloro che si dicono discepoli di Gesù, e viene spiegato da preti e vescovi che si dicono eredi della testimonianza degli apostoli. Ma anche qui sorge un dubbio: non è troppo poco?
E d'altra parte, la testimonianza non si limita a trasmettere un libro, una serie di dogmi, a spiegare una serie di buoni comportamenti: ma dice che quel Gesù è vivo, è presente nella sua Chiesa, si lascia incontrare da coloro che lo cercano. La vita dei santi mostra come può essere l'uomo trasformato dall'incontro con Gesù. Vediamo dunque una serie di passaggi, che da Gesù arriva fino a noi (la sua vita, i testimoni, il libro, la Chiesa) e una serie di passaggi che da noi arriva a Gesù (la Chiesa, il libro, la testimonianza e l'esperienza della sua persona). Quello che ci viene chiesto è fidarci di questa catena di trasmissione. E sorge a volte il dubbio: non è troppo poco? troppo difficile la nostra fede?

Come a Nazaret

Luca conosce bene questa difficoltà: era la difficoltà anche dei suoi lettori, che non avevano conosciuto Gesù di persona, ma attraverso un insegnamento. Anche per noi si ripropone il problema: non abbiamo visto Gesù, ma ci è stato insegnato. L'unica differenza è il tempo che separa l'ascoltatore dall'evento: tra la Risurrezione e Teofilo passa qualche decennio; per noi sono secoli. Per questo l'evangelista pone come primo episodio rilevante del ministero di Gesù la predicazione nella sinagoga di Nazaret. Gesù è presentato come maestro, come annunciatore, come profeta. In questo Vangelo Gesù è colui che apre il libro e lo commenta, anzi, colui che lo adempie: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi avete udita con i vostri orecchi". Gesù fa capire - indirettamente - ai suoi compaesani che è lui il consacrato, colui che annuncia il lieto messaggio ai poveri, che proclama la libertà ai prigionieri, la liberazione agli oppressi... E anche per i nazaretani si ripropone il problema: non è troppo poco?

La difficoltà della fede

Come si può credere in costui? Non c'è differenza - quanto a difficoltà di credere - tra noi uomini del duemila, e i Nazaretani, che parlavano faccia a faccia con Gesù. E la sfida a noi lanciata dal Vangelo di Luca, che leggeremo in quest'anno giubilare della Diocesi, sarà proprio quella di "consoilidare" la nostra fede, renderci conto che quello di cui disponiamo, e che sembra troppo poco, è sufficiente per credere, per guidare la nostra vita, per spenderla e donarla totalmente.


Flash sulla I lettura

"L'assemblea degli uomini, delle donne, e di quanti erano capaci di intendere": si tratta di un'assemblea di adulti. Troppo spesso l'attenzione delle nostre comunità è focalizzata sui bambini, sugli adolescenti, sui giovani. A dire il vero anche le singole famiglie sono centrate sul bambino: il neonato, o fanciullo che cresce, rischia di divenire una specie di piccolo, dolce tiranno, che alla fine costringe i genitori a fare quello che vuole lui. In una simile situazione emergono le immaturità e le debolezze dei genitori, che scoprono di dover ancora crescere e maturare: solo una persona pienamente adulta potrà essere un buon educatore. Così, solo una comunità matura nella fede può essere capace di educare e di attrarre i bambini, gli adolescenti, i giovani.
"Tutto il popolo porgeva l'orecchio a sentire il libro della legge": uno degli aspetti fondamentali della maturità cristiana è la capacità di ascolto della Parola di Dio. Tutti noi siamo in contatto quotidiano con la Parola: abbiamo in noi alcuni insegnamenti guida che ci sono stati trasmessi, seguiamo quasi spontaneamente certe regole, ascoltiamo i consigli e le esortazioni di altri, cerchiamo di interpretare i fatti della nostra vita... tutto questo è, in qualche modo, parola di Dio. Ma si può parlare di maturità cristiana solo se sappiamo nutrire il nostro istinto attraverso il confronto con Parola di Dio scritta, e attraverso il confronto con i fratelli di fede nella comunità cristiana. Altrimenti rimaniamo nel "fai-da-te" religioso, che ci lascia spiazzati di fronte alle sfide del mondo contemporaneo.
"Questo giorno è consacrato al Signore nostro Dio, non fate lutto e non piangete!": il brano si riferisce al contesto immediatamente successivo all'esilio, quando la comunità degli esuli da Babilonia ritorna a Gerusalemme, e la riscoperta della Legge e delle antiche tradizioni fa emergere la piena consapevolezza del peccato e della situazione di infedeltà del popolo. Esdra e Neemia invitano a non lasciarsi prendere dalla tristezza e a guardare avanti, alla nuova possibilità di vita che il Signore offre. Anche nelle nostre assemblee domenicali spesso prevale la critica, la constatazione del peccato, della lontananza da Dio, mentre non si mette in evidenza la festa del Risorto, che ha vinto la morte e vince anche oggi le nostre resistenze e le nostre tristezze. La nostra domenica deve restare una festa.

Flash sulla II lettura

"Come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra, e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo". Paolo affronta il problema di una comunità disunita. Ma non procede con un metodo totalitario, di una unione forzata: tenta la via del convincimento. Una unità dittatoriale, imposta dall'alto, pretesa come un dovere, rischia di non essere vera unità, ma solo appiattimento, livellamento, pietrificazione delle ricchezze della comunità. In questo lungo brano, attraverso la parabola del corpo e delle sue membra, Paolo tiene costantemente uniti i due poli del problema: la necessità di una comunione, di un sentire comune, e la garanzia delle differenze e delle originalità di ciascuno.
"Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte...": ciò che ci costituisce in unità non è una saggia e accorta gestione manageriale e organizzativa (anche se la comunità deve saper accogliere e valorizzare chi ha il dono di organizzare e gestire le strutture e le attività), non è neppure il potere gerarchico (anche se la comunità deve avere una guida gerarchica), e neanche un potere carismatico (anche se occorre riconoscere e lasciar esprimere i carismi di ciascuno), ma solo il riferimento a Cristo.