Omelia (26-08-2012) |
don Alberto Brignoli |
E da chi, se non da Dio? Se penso alle nostre relazioni interpersonali, mi pare di poter notare almeno tre "livelli" di relazione nei confronti degli altri. Un primo livello, quello più comune, è quello che possiamo definire in maniera generica "la gente": persone che conosciamo poco, o per nulla affatto, con le quali magari entriamo in relazione solo per casualità, magari anche solo perché abitiamo nella stessa via o nello stesso paese, o perché prendiamo lo stesso pullman per andare al lavoro; gente che magari salutiamo con un generico "salve" per uscire un po' dall'imbarazzo reciproco di non sapere cosa dirsi...e così via. Gente, comunque, con la quale non abbiamo a che fare un granché, ma di cui quantomeno siamo a conoscenza della loro esistenza e siamo da loro conosciuti. C'è poi un livello che inizia ad essere già un po' più impegnativo, ed è quello dei "conoscenti": ovvero, delle persone con le quali si stabilisce un contatto già più abituale rispetto a quello con la gente comune. Ci si parla, si frequentano gli stessi ambienti, si lavora insieme, si condividono alcune idee, ci si scambia pareri su ciò che si fa... Tra i conoscenti ci possono essere pure persone a cui siamo legati da vincoli di parentela senza avere dei grandi rapporti, oppure persone con cui poco a poco si crea anche un legame di stima, di fiducia e di amicizia. È altrettanto vero, però, che tra i conoscenti ci possono essere anche persone con cui, nella vita, siamo un po' "costretti" ad entrare in relazione pur non avendone alcuna voglia: anzi, se potessimo evitarle, non sarebbe certo una cosa malvagia... E ciò è "impegnativo", perché ci costringe a stare continuamente tra la cordialità e l'antipatia, rischiando pure di sfociare nell'indifferenza. Il terzo livello è quello decisamente più gratificante, perché lo stabiliamo con le persone con le quali entriamo in sintonia e alle quali ci sentiamo legati da vincoli di amicizia che, in maniera più o meno intensa, vanno dall'affetto all'amore. Sentimenti che non sono certo privi di momenti di difficoltà, momenti in cui ci verrebbe voglia veramente di troncare tutto e di lasciar perdere ogni cosa, ma che alla fine sono superati da un rinnovato desiderio di bene, augurato all'altro in ogni maniera, soprattutto dalla bellissima quanto ormai inflazionata espressione del "Ti voglio bene!". È vero, anche con gli amici più sinceri ci sono momenti di forte tensione e di crisi: ma quando essi ci provocano, e ci dicono, ad esempio: "Vuoi lasciar perdere tutto? Vuoi finirla qui? Vuoi andartene?", l'amore che nutriamo per essi ci fa dire: "E da chi vado, senza di te? Le tue parole mi aiutano, e tu mi dai forza". È da un mese abbondante che Gesù è rinchiuso nella sinagoga di Cafarnao, cercando di entrare in relazione con gente di ogni tipo. C'è gente che è solamente incuriosita dai suoi modi di fare e dai segni non certo comuni che egli opera, anche perché spesso (come in questo caso) permettono loro di riempirsi lo stomaco senza particolari difficoltà; quando poi si passa dalla distribuzione di cose materiali ai discorsi, ai dibattiti approfonditi e alle discussioni, la cerchia degli uditori si fa decisamente più ristretta. Come quando un seme sparso da un seminatore cade sulla strada e viene beccato dagli uccelli di passaggio, oppure cade su un terreno poco profondo: attecchisce finche riesce, e poi muore. C'è poi gente che accetta anche che Gesù faccia un discorso un po' più impegnativo, e fa pure lo sforzo di cercare di capirne il senso. Magari si inalbera un po' quando lo sente definirsi "più grande di Mosè", oppure in possesso di "un cibo che non perisce mai", soprattutto se paragonato con la manna mangiata nel deserto dai loro padri, che nonostante tutto erano "uomini veri"... Passi tutto, ma quando il discorso di Gesù si fa duro e difficile al punto di dover accettare che lui si possa permettere di offrire la sua carne e il suo sangue come cibo e bevanda di vita eterna, allora le cose cominciano a complicarsi. Non c'è più quell'interesse e quella simpatia che li spingevano ad ascoltarlo. Se poi, di fronte alla richiesta magari anche un po' scocciata, di poterli aiutare a comprendere questo linguaggio che si rivela davvero un mistero, si sentono da lui rispondere che sono gente senza fede, beh, allora... arrivederci e grazie! Discepoli e seguaci sì, ma fino a un certo punto! D'accordo che si è chiamati a dare frutto in ogni situazione, ma se il seme mi viene gettato tra le spine, e quando cresce viene soffocato da preoccupazioni quotidiane ben più concrete dei discorsi di un maestro girovago, molto meglio andarsene via ed andare alla ricerca di cose da fare ben più serie. Tanto, la fede non si perde. Si può vivere anche senza bisogno di quella radicalità che il Maestro esige! Il Maestro, in quella sinagoga di Cafarnao, a questo punto resta quasi solo. Si guarda intorno, forse sconcertato, e si accorge che dei cinquemila che aveva sfamato sono rimasti solamente quelli "del terzo livello", gli amici veri, quelli che vivevano con lui da almeno un anno e lo seguivano lungo tutte le strade della Galilea. Erano lo "zoccolo duro", il seme caduto in terra buona che non può che produrre frutto abbondante, i "Dodici", quelli su cui avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco... E qui, anche Dio sembra andare "in crisi"... Poi, però, siccome sa fin da principio chi si fida di lui e chi no, non si fa certo abbattere da questo momento difficile. Sa bene che le crisi si superano con atteggiamenti forti, con scelte radicali, con domande decisive. E lancia la sfida: "Volete andarvene anche voi?". Adesso non sia gioca più. Un'altra volta siamo al bivio: o torni sul lago di Galilea a pescare vicino alla riva e la smetti di sognare di "prendere il largo", oppure vai con lui verso Gerusalemme. I Dodici sono più in crisi di lui. Cosa si saranno chiesti di fronte a quella domanda? "Andiamo via? E dove andiamo? Cosa torniamo a fare? Che prospettive concrete abbiamo?". Solo il cuore di chi ama il Maestro trova le parole giuste, e risponde alla domanda con un'altra domanda: "Signore, da chi andremo?". Simon Pietro dice "da chi", non "dove" andremo, perché pure in questo momento di profonda crisi ha capito che seguire il Maestro non significa "andare da qualche parte", "raggiungere un obiettivo" o "fare qualche attività", ma significa "stare con lui". Non conta il "dove", ma il "con chi" andare. Lo sappiamo bene, lo diciamo a noi stessi ogni volta che vogliamo uscire anche solo per una banale passeggiata, per cui, non è poi così difficile da comprendere. Capisce Gesù chi lo ama, non chi solamente lo ascolta, lo scruta, lo studia e lo mette alla prova, magari sfruttandolo finché gli serve. "Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna". Da chi andiamo, oggi, ad ascoltare parole di vita in questo mondo di ciarlatani che vivono di palcoscenici, di riflettori, di rotocalchi rosa e di telecamere? Il Maestro e il suo primo discepolo oggi ci lasciano con questo interrogativo: "Volete andarvene anche voi?... Signore, da chi andremo?". Siamo al bivio della fede, ancora una volta: o con Dio o senza di lui. Da che parte ci mettiamo? |