Omelia (26-08-2012) |
mons. Roberto Brunelli |
Ed egli disse: ‘Volete andarvene anche voi?' Le chiese si svuotano; le confessioni si fanno rare; preti e suore sono sempre meno; le convivenze non destano più meraviglia; quelli che si sposano in chiesa sono vistosamente in calo, e anche loro poi spesso divorziano; per tanti, il papa e i vescovi possono ben parlare: chi se ne importa? E' in atto un'ennesima crisi, una delle tante che, ciascuna a modo proprio, nel corso dei secoli hanno investito il mondo cristiano. Passerà, come le precedenti; ma alcuni vorrebbero ricuperare subito, e secondo loro sarebbe facile: matrimonio per i preti, la comunione ai conviventi, ammettere il divorzio e le unioni gay, e così via. Ma è giusto? Che cosa farebbe Gesù? La risposta appare chiara, dal vangelo di oggi (Giovanni 6,60-69) che conclude il lungo discorso sull'Eucaristia da lui tenuto nella sinagoga di Cafarnao, il discorso che abbiamo letto a brani nelle scorse domeniche. "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue...", "Colui che mangia me...": queste e simili espressioni, da lui usate, non potevano lasciare indifferenti; sono così pesanti, che potevano suscitare solo una risposta decisa, di accettazione o di rifiuto. Ed ecco quel che accadde: "Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui". Per chiunque si offra al bene del prossimo, vedersi pubblicamente rifiutato dev'essere un'esperienza frustrante, tale da indurre a ritirarsi nell'amarezza della solitudine. Se invece dietro l'offerta c'è un calcolo, un tornaconto personale, l'interessato prova a non demordere, tentando più facili approcci. Invece Gesù, di fronte al rifiuto, non adottò né l'uno né l'altro di questi comportamenti: non si ritirò di certo, non abbandonò il suo impegno, ma neppure scese a compromessi. Diversamente da come avrebbe fatto un imbonitore in cerca di seguaci, di popolarità, di successo, egli non fece nulla per trattenere quei suoi ormai ex discepoli, non si mise a spiegare, ad attenuare, ad ammorbidire le precedenti dichiarazioni. Anzi, si volse agli apostoli e quasi provocatoriamente chiese loro: "Volete andarvene anche voi?" Come dire: la verità è quella che è; prendere o lasciare. Da questo atteggiamento del suo Fondatore la Chiesa trae la risposta alle proposte cui si è accennato, quelle avanzate per risolvere la sua crisi attuale. La verità non si mercanteggia; una malattia non si guarisce negando che lo sia; un maestro che non segnala gli errori condanna gli alunni a ripeterli all'infinito. Perciò, tanta comprensione, ogni aiuto a chi sbaglia, ma non ingannandolo col dire bianco il nero. Nessuno, nemmeno il Padreterno, obbliga un uomo a credere; ma chi aderisce deve farlo con senso di responsabilità, accettando ciò che viene dall'Alto, in toto. La fede non è un supermercato, dove ciascuno prende quel che vuole; non è un motore da truccare perché corra più veloce. Ma allora, perché prendersi il disturbo di credere? La risposta è quella data da Pietro alla provocatoria domanda di Gesù: "'Volete andarvene anche voi?' Gli rispose Simon Pietro: ‘Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!'" Nelle nostre giornate incontriamo molti che parlano, con le parole o con i comportamenti: uomini politici, giornalisti, scrittori, insegnanti, opinionisti della televisione, persino attori e cantanti che si impancano a maestri di vita, distribuendo ciascuno le proprie ricette, i propri surrogati della felicità. Ma quando l'età avanza, quando si è presi dalla malattia, quando manca il lavoro, insomma di fronte ai problemi veri si vede tutta l'inconsistenza di tanti discorsi, che se va bene possono valere per questa vita. E ‘dopo'? San Luigi Gonzaga, non l'adolescente introverso delle immaginette ma quel che era, un uomo saldamente maturo, vagliava cose e idee chiedendosi: "Quid ad aeternitatem?" Cioè: vale, questo, per l'eternità? Forse aveva in mente proprio la risposta di Pietro: Tu, Signore, tu solo hai le parole che ci guidano al ‘dopo'. |