Omelia (20-08-2012)
Riccardo Ripoli
Il giovane se ne andò triste perché aveva molte ricchezze

Oggi tutto gira attorno al denaro, con i soldi si pensa di poter comprare tutto, persino un figlio, la salute, l'amore delle persone, ma non è così. Le uniche cose che possiamo guadagnare accantonando le ricchezze sono le preoccupazioni, le notti insonni, l'invidia, la gelosia, l'egoismo, la bramosia di avere sempre di più.
Quando compriamo qualcosa che ci piace, ne riceviamo una soddisfazione e più grande e costoso ciò che ci procuriamo, maggiore è il piacere che abbiamo, ma sono piaceri che finiscono, gioie che non saranno perfette e potranno portarci anche tribolazioni. Pensate a chi compra una casa, avrà il mutuo, le bollette, le tasse, il desiderio dei figli di ereditare. Non è sbagliato creare per sé e per le persone che amiamo una situazione di tranquillità, ma c'è differenza tra questa ed il volere più di quello che ci necessita. Pensiamo a chi non ha il minimo indispensabile per vivere, come posso pensare di andare al ristorante quando con gli stessi soldi potrei mangiare bene io e darne a chi muore di fame? Ci sono vestiti da pochi euro ed altri che ne costano centinaia, non potrei risparmiare ed aiutare chi è in difficoltà? Si spende in tante cose inutili solo per procurarci piaceri effimeri che dopo poco ci annoiano o passano, non sarebbe più giusto rinunciarci per aiutare il prossimo?
Siamo bravissimi a calcolare interessi, rendimenti sugli investimenti, acquisti che possano darci più soldi in futuro. Ma quale futuro? Oggi ci siamo, ma del domani non possiamo dire la stessa cosa con certezza, eppure continuiamo ad accantonare denaro come se la nostra vita fosse infinita, non ci basta più neppure il superfluo, dobbiamo avere di più e sempre di più.
Guardate cosa accade con i cellulari, è un continuo cambiarli. Io ne possiedo uno che avrà almeno dieci anni, con lo schermo tutto graffiato, ma funziona benissimo, ed allora perché cambiarlo? La macchina se funziona perché prenderne una nuova?
Purtroppo quando si è giovani, quando è il momento di investire nel futuro, pensiamo sempre alle cose materiali, non riusciamo a rinunciare a nulla, nemmeno al superfluo, vogliamo contornarci di tutte le stupidaggini che la pubblicità ci propone, altrimenti sembra che siamo nudi. Quando poi invecchiamo e magari abbiamo tre case, due macchine, la moto, un bel conto in banca e ci viene diagnosticato un tumore, il mondo crolla, le cose materiali non hanno più senso, parenti lontani mai sentiti nemmeno nominare si fanno vivi per blandirci, badanti senza scrupoli ci girano intorno come avvoltoi sperando di rimediare un boccone della nostra carne e per noi è troppo tardi per gioire per aver utilizzato il frutto del nostro lavoro per qualcosa di nobile, ma non è troppo tardi per investire nel nostro futuro. Ciò che abbiamo davanti è per qualcuno il mistero di cosa ci sia dopo la morte, per altri la possibilità della vita eterna. Troppo comodo, dirà qualcuno, donare i propri beni al prossimo sul letto di morte, ma è pur vero che il ladrone che fu crocifisso con Gesù ebbe il dono della vita eterna perché si pentì delle sue malefatte con cuore sincero pochi minuti prima di esalare l'ultimo respiro.
La vita non è un periodo, è tutta, dalla nascita alla morte ed ogni istante è quello giusto per cambiare, per capire il proprio errore, anche l'attimo in cui si sta morendo.
Il piacere che si ricava nel donare al prossimo, nel privarsi di qualcosa che abbiamo per far felice qualcuno, per donare ad altri possibilità che a noi sono state date con diritto di nascita è talmente grande che tutto il superfluo non potrà mai darci.
Fino a ventuno anni vivevo con l'idea di avere di più. Avevo la barca a remi e la volevo a motore, avevo il motore e volevo la barca più grossa e più veloce, la macchina era troppo piccola, la moto poco potente, la vacanza poco esotica. Ero infelice, ma non ne sapevo il perché. Pensavo che il mio star male fosse causato dalla mancanza di qualcosa di materiale, ma non riuscivo a capire cosa mi mancasse. Quando morì la mia mamma mi accorsi che avrei dato tutto quello che avevo e che avrei avuto dalla vita per un solo giorno in più con lei. Ed allora capii. Compresi che ciò che dobbiamo accaparrare con grande forza e volontà è l'affetto degli altri, la stima per le cose che pensi, per l'amore che metti nel fare le cose. Presi coscienza che il denaro, la barca, la macchina, i quadri non avevano nessun valore se non erano utilizzati per aiutare il prossimo. Mossi i primi passi in quella direzione e vidi che la felicità aumentava ogni giorno di più, ogni bambino che mi sorrideva era per me una gioia grandissima, pensare che con poche lire potevo comprare un po' di pasta e latte da donare a chi aveva fame, che con pochi spiccioli ero in grado di acquistare un paio di scarpe a chi andava a giro a piedi nudi. Da lì a condividere tutto ciò che avevo con i bambini il passo fu breve ed ebbi così la certezza che aiutare il prossimo, sostenerlo, dividere con lui le cose materiali, ivi comprese le competenze acquisite negli anni di studio, era la vera gioia, l'investimento migliore che potessi fare non solo per gli altri, ma anche per me stesso.
A volte mi viene detto che ho rinunciato a tanto, ma non è vero perché, al contrario, ho costruito tantissimo. A volte io e Roberta ci fermiamo un istante, specialmente quando ci sono problemi da risolvere, e guardiamo indietro, a quello che il Signore ha fatto attraverso di noi e sorridiamo pensando che un altro ostacolo non sarà più difficile di quelli affrontati e risolti nel passato e ci carichiamo per andare incontro al futuro, per costruire un avvenire per i ragazzi che il Buon Dio vorrà donarci affinché li accudiamo.
La gioia che questi ragazzi ci danno è un dono che non potrà essere comprato con tutto l'oro del mondo. Potrete acquistare tutti beni della terra, ville, yacht, macchine di lusso, ma non sarete mai ricchi come lo siamo noi. Questa felicità non si compra con il denaro, ma si ottiene rinunciando ad esso, condividendo le ricchezze con gli altri, ma non semplicemente dando soldi a destra a manca per tacitare la nostra coscienza, ma impiegandoli direttamente per le necessità altrui.