Omelia (02-09-2012) |
padre Gian Franco Scarpitta |
L'abito non fa il monaco ma ogni monaco ha il suo abito "La lettera uccide, lo Spirito dà la vita" (2 Cor 3, 6). Con queste sintetiche parole Paolo condanna il bigotto formalismo di coloro che si affannano nel rispetto puramente esteriore della Legge divina e alla mera parvenza ipocrita di perfezione. L'apostolo invita alla seria trasparenza che si dà nell'osservanza dello "spirito" delle Scritture, cioè del loro contenuto fondamentale e del loro insegnamento. Esso non ammette la falsità di gesti esteriori e di formalismi a volte inutili e devianti, ma esige il rispetto di ciò che è veramente indispensabile nell'osservanza della Parola. Anche Gesù si pone nel medesimo atteggiamento quando condanna, facendosi forte del profeta Isaia, il legalismo sterile delle tradizioni e delle consuetudini umane, che sovente hanno il sopravvento sulla Parola di Dio. Giudicare con disprezzo chi non è abituato ad osservare usi e consuetudini locali come le abluzioni prima dei pasti quando non si ha una piena coscienza nelle cose più importanti è ridicolo e ipocrita. Appunto come i farisei, ben noti per avere una grande erudizione sulla Scrittura e sulla Legge di Mosè, che tuttavia ne trascurano volutamente l'osservanza sui punti cruciali e irrinunciabili e si affannano nella custodia di tradizioni umane in realtà secondarie o in necessarie. Certamente non si condanna la forma e l'eleganza esteriore in quanto tale. Come del resto si nota anche per inciso nei vari insegnamenti di Gesù e come traspare anche dalla Bibbia, le varie consuetudini locali sull'educazione, la buona creanza, la disciplina e la compostezza esteriore contribuiscono a costruire la persona in rapporto alla società e costituiscono non di rado il biglietto da visita di un singolo individuo: una persona compita e attillata trasuda spesso una bontà interiore di fondo e una serietà nelle proprie intenzioni. L'usanza di salutare, accogliere gli ospiti, lavare le mani prima del pasto, moderare il linguaggio di fronte ad estranei, non necessariamente corrispondono ad ipocrisia e falsità, ma possono anzi rivelare una formazione personale attenta coltivata per tanti anni, che adesso da' i suoi copiosi frutti nell'interazione con il prossimo. Usi, consuetudini locali, tradizioni e usanze non vanno assolutamente svalutate e trascurate, soprattutto se appartengono alla cultura di un popolo e anche nella vita ecclesiale il ricorso a certi usi e costumi consolidati è anche apprezzato e a volte raccomandato dalla stessa Scrittura perché l'esteriorità possa meglio riflettere l'interiorità. Se è vero che l'abito non fa' il monaco, è vero anche che ogni monaco ha il suo abito. Ciò che si biasima è piuttosto l'assoluto formalismo di determinati atti, l'assolutizzazione delle cosiddette "buone maniere" che non di rado vengono a sopprimere il vero insegnamento della Parola di Dio. E soprattutto la vanagloria e la presunzione di chi vanta perfezione eleganza e perfezione esteriori, mancando di esaminare la propria coscienza quanto alle mancanze gravi nei confronti del prossimo e per ciò stesso nei riguardi di Dio. Quando la correttezza, la formalità e l'educazione si trasformano in perbenismo borghese atto a giudicare e condannare gli altri, diventano sinonimo di meschinità e di ipocrisia. Una vecchia canzone di Fabrizio De Andrè, a ragione, afferma che tante persone sono fra l'altro esse stesse, di nascosto, interessate direttamente a ciò che pubblicamente condannano in nome del presunto decoro e della falsa perfezione: "Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone...? Quella che di giorno chiami con disprezzo ‘pubblica moglie', quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie". Capita non di rado che parecchie nostre celebrazioni liturgiche vengano organizzate e guidate da persone molto competenti in materia, capaci di dare risalto alla solennità della celebrazione e tuttavia tronfie di orgoglio e di autoesaltazione, personalmente non all'altezza di quello che celebrano in quanto atti più ad apparire che ad essere. Senza contare che parecchie persone realmente competenti nella liturgia passano inosservate mentre altre attirano l'attenzione solo per il proprio nome o per la propria notorietà. Qualche anno fa sentivo per radio un personaggio laico illustre che rimproverava alla Chiesa di imporre norme esteriori, leggi, limitazioni senza però offrire valori e spiritualità, rimprovero a dire il vero non del tutto immeritato. Non di rado noi sacerdoti siamo infatti soliti insistere su determinati codici di comportamento, su prescrizioni per la ricezione dei sacramenti e altre nozioni di sorta senza concepire tuttavia neppure noi stessi la positività di fondo dei sacramenti medesimi. Come già prima accennavamo, tante volte avviene invece che proprio chi non cura determinati costumi e abitudini mostra più apertura verso quello che è realmente essenziale, cioè l'amore per la Parola e la premura che questa venga assimilata realmente e realmente messa in pratica. Il vuoto consuetudinarismo della lettera scritta distoglie invece l'attenzione dalla sensibilità religiosa e dal vero contenuto di quanto ci viene insegnato. La sincerità e l'antiformalismo sono insomma alla base di un autentico cristianesimo edificante, come anche il costitutivo di una buona convivenza umana poiché allontanano anche le indifferenze e le ritrosie reciproche, togliendo lo spazio al sospetto e alla maldicenza ostile e invidiosa. La trasparenza è già autenticità di vita comune, indipendentemente da ogni credo religioso, ma nella vita cristiana pone le condizioni di un reale vissuto di fede, di speranza e di carità. La soluzione del problema risiede nelle parole del libro del Deuteronomio, di cui alla Prima Lettura di oggi: "Osservate i comandi che io vi prescrivo, senza aggiungervi né omettervi nulla, perché nessuna nazione ha gli dei così vicini a sé come il Signore nostro Dio è vicino a noi tutte le volte che lo invochiamo." Va considerata in effetti la vicinanza gratuita di Dio, il suo amore e la sua buona disposizione nei nostri confronti, perché possiamo convincerci di dover osservare realmente i suoi comandamenti e camminare nelle sue vie con autentica sincerità priva di doppiezza e di ipocrisia. |