Omelia (02-09-2012)
don Alberto Brignoli
Cristiani "DOC"

Capita a tutti, spesso, di rifugiarci dietro alle cose che abbiamo imparato e di renderle motivo di sicurezza per le attività che ogni giorno siamo chiamati a svolgere.
Se ho imparato un mestiere in un certo modo, e vedo che lo faccio pure bene, perché devo cambiare? Se so che un certo modo di vestire, di mangiare, di comportarmi mi dà sicurezza, mi fa sentire bene, mi fa sentire "a posto", perché devo seguire altre mode o altre tendenze? Se ho sempre ragionato nello stesso modo sulle cose, e vedo che tutto sommato questo mio modo di pensare non crea difficoltà, cosa c'è di male a continuare in questo modo?
Anzi, sinceramente risulta difficile comprendere come mai ci sia gente che agisce quasi "di proposito" nel ricercare forme alternative di fare e di pensare, il più possibile diverse da quelle che ci sono state insegnate, con il solo scopo di essere "diverso", o di rimodernare un po' le cose. "Parla e mangia come ti ha insegnato tua madre!": è quanto più spontaneamente ci viene da dire a chi si propone come "alternativo" nei suoi atteggiamenti. Perché mai dovremmo fare diversamente da come ci è stato insegnato dalla nostra famiglia, dalla nostra società e dalle nostre tradizioni? E per quanto riguarda la vita di fede, perché dobbiamo permettere agli innovatori di turno di proporci atteggiamenti diversi da quelli delle tradizioni che abbiamo ricevuto?
"Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo le tradizioni degli antichi?": anche a Gesù è stata fatta questa domanda, quando i suoi discepoli si permettevano atteggiamenti "diversi" da quelli che la Legge di Mosè aveva loro insegnato. E la reazione di Gesù non è certo delle più morbide: attacca i farisei che cercavano di rimanere fedeli alle tradizioni e ai costumi dei loro padri definendoli "ipocriti", falsi, ovvero legati solo esteriormente alle tradizioni, ma in realtà lontani dallo spirito delle cose che le tradizioni volevano insegnare.
Come mai questa risposta? Perché Gesù se la prende tanto? Perché una persona che con onestà trova sicurezza e stabilità nella forza delle tradizioni che gli sono state, trasmesse viene da lui vista come falsa e ipocrita?
Se si è alternativi nel vivere la fede e la dottrina, si è visti male dalla Chiesa proprio perché alternativi; se si è tradizionali e legati alle forme che ci sono state insegnate dai nostri padri, si è tacciati di tradizionalismo e ipocrisia da parte di Gesù... allora, cos'è giusto fare? Come ci si deve comportare? Da innovatori o da tradizionalisti? Oppure è bene stare, come la saggezza latina insegna, in un giusto equilibrio virtuoso tra le due cose ("in medio stat virtus"), salvando così "capra e cavoli"?
Forse il problema non sta nello scegliere un modello rispetto ad un altro, e nemmeno nella proclamazione della bontà di un atteggiamento rispetto ad un altro.
La chiave delle affermazioni - magari anche un po' seccate - di Gesù sta nella citazione che egli stesso, nel vangelo di oggi, fa a proposito di quanto disse il profeta Isaia al popolo d'Israele: "Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me". Cosa significa questo?
Probabilmente, significa che ciò che Gesù vuole (così come Isaia a suo tempo) è che il rapporto con Dio e con le cose della vita in generale, non debba essere valutato sulla scorta di atteggiamenti più o meno rispondenti a delle leggi o a delle norme o a dei modi di fare ricevuti da chi ci ha insegnato la fede (le tradizioni, appunto), ma sull'intensità del nostro legame con Dio e con la vita, ovvero sul "cuore" che ci mettiamo quando facciamo qualcosa.
Perché in fondo, servire Dio e la nostra religione non è difficile: basta seguire le norme che la Chiesa ci indica, applicare il catechismo e i comandamenti, assolvere i precetti e con questo siamo a posto. È vero, è sufficiente questo per dirci appartenenti ad un gruppo religioso come la Chiesa. Ma per dire che amiamo Dio, questo non basta. Dall'appartenere ad una religione ad essere uomini e donne profondamente innamorati di Dio, ne passa di acqua sotto i ponti... Le due cose non sempre coincidono. Anzi, a detta di Gesù, quasi mai.
Perché onorare Dio con le labbra non significa automaticamente amarlo con il cuore. Soprattutto - e il problema sta tutto qui - se "onorare Dio" con atteggiamenti giusti e irreprensibili (tradizionali o innovativi che essi siano, a questo punto non importa) ci porta a giudicare gli altri e disprezzarli, arrivando addirittura a pensare male di loro perché non fanno quello che facciamo noi, perché non credono come noi, perché non professano la loro dottrina e la loro fede così come lo facciamo noi. Peggio ancora se, a giustificazione delle nostre teorie, ci trinceriamo dietro il "rispetto della tradizione", nella quale siamo certi che c'è infallibilità. Può darsi che sia così, ma forse non c'è amore.
Non è, quindi, questione di tradizione o di rinnovamento, di "assodato" o di alternativo", di "solito e giusto" o di "nuovo e un po' strano", nel vivere il nostro rapporto con Dio. È solo questione di cuore.
Si può essere uomini e donne di Dio anche se diversi, così come si può non amare Dio pur osservando tutti i precetti e le tradizioni che la Chiesa ci ha insegnato. Se il nostro cuore non è tutto rivolto a Dio, non sarà certo l'osservanza o meno dei precetti a riportarlo verso di lui. E che il nostro cuore è per Dio, lo si capisce da come ci comportiamo nei confronti dei nostri fratelli e della vita in generale.
Perché non è ciò che assumiamo su di noi o dentro di noi (come la tradizione) a farci giusti: è ciò che "buttiamo fuori" nei confronti della vita che dice quanto il nostro cuore sia pieno di amore oppure di tutte quelle schifezze che il Vangelo di oggi ci sbatte drasticamente in faccia: impurità, furti, omicidi, adulteri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunni, superbia, stoltezza, e chi più ne ha più ne metta...sono tutte cose che buttiamo fuori, addosso alla vita e agli altri, quando il nostro cuore non è tutto rivolto a Dio.
Anche se sulla nostra carta d'identità c'è scritto: "Cristiano D.O.C".