Omelia (14-12-2003)
padre Ermes Ronchi
Quando Dio danzò di gioia per l’uomo

Esulterà, si rallegrerà, griderà di gioia per te, come nei giorni di festa». Nelle parole del profeta, Dio danza di gioia per l'uomo, come nel grembo della madre, Giovanni aveva danzato per il suo Signore. Sofonia racconta un Dio felice il cui grido di festa percuote questo tempo d'avvento e ogni tempo dell'uomo e ripete, a me, a te, ad ogni creatura: «Tu mi fai felice». Tu, festa di Dio. Paolo fa eco al profeta: «Siate sempre lieti, ve lo ripeto, siate lieti». Dice Angelo Silesio: «La rosa è senza perché, fiorisce perché fiorisce». Così è per la gioia. Ma Dio seduce proprio perché parla il linguaggio della gioia, perché «il problema della vita coincide con quello della felicità» (Nietzsche).
Mentre il profeta intuisce la danza dei cieli e intona il canto dell'amore felice, il Battista risponde alla domanda più feriale, che sa di mani e di fatica e incide nei giorni: «Che cosa dobbiamo fare?». E l'uomo che non possiede nemmeno una veste, risponde, con la vita e con le parole: chi ha due vestiti ne dia uno a chi non ce l'ha. Colui che si nutre di quasi nulla, cavallette e miele selvatico, risponde: chi ha da mangiare ne dia a chi non ne ha. Il primo verbo di un mondo nuovo: dare. Donare. In tutto il Vangelo il verbo amare si traduce con il verbo dare (non c'è amore più grande che dare la vita; chiunque avrà dato anche solo un bicchiere d'acqua fresca; c'è più gioia nel dare che nel ricevere...). È legge della vita: per stare bene l'uomo deve dare.
Vengono pubblicani e soldati, considerati irrecuperabili alla vita di fede, pilastri del potere di occupazione romano: «e noi che cosa faremo?» Giovanni, l'uomo senza cose, ripete lo stesso messaggio, ma al negativo: non prendete a nessuno, non estorcete nulla, non accumulate. Tre risposte per un programma unico: tessere il mondo della fraternità, costruire una terra da cui salga giustizia, rifare alleanza tra uomo e uomo. Conversione è poter dire un giorno a uno, a cento, a molti, a chi mi è posto accanto: tu sei più importante di me. Prima vieni tu. Solo dopo, io e le mie cose.
E noi che cosa dobbiamo fare? Giovanni risponde indicando come si debba agire. Perché non conta ciò che fai, ma come lo fai. Puoi essere parlamentare o casalinga, prete o contadino, docente o militare, commercialista o impiegato, non conta la professione, ma la qualità del tuo agire: con quanta giustizia, impegno, umanità, con quanta passione e autenticità svolgi il tuo compito. Là dove sei chiamato a vivere, nell'umile quotidiano, lì devi essere uomo di giustizia e di comunione. È la tua profezia. Allora, a cominciare da te, si riprende a tessere il tessuto buono del mondo.