Omelia (30-11-2003) |
padre Ermes Ronchi |
Quel bene promesso senza limiti L'Avvento: un Dio che viene a camminare con l'uomo, non a condannarlo (...) Gesù disse ai suoi discepoli: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli (...) Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. Irrompe la profezia. L'avvento è anzitutto questo. E, da subito, il primo oracolo riprende a disegnare il volto di Dio: «Io sono Colui che realizza le promesse di bene». Quali promesse? Perché non mi convince un Dio solo leale a se stesso, fedele solo alla parola data. Questo lo fanno già in molti, non occorreva un profeta per così piccola rivelazione. Io ho bisogno di un Dio fedele a parole "di bene" sull'uomo, a promesse "di bene" per me; fedele non a se stesso, ma a un amore implacabile che non troverà il suo sabato di riposo finché io non abbia raggiunto "il bene". Mi commuove un Dio affidabile. Poiché di me si fida, io di Lui mi fido, di Lui a me fedele. Mentre il profeta parla di Dio, il Vangelo riprende a disegnare il profilo del mondo: angoscia, paura, guerre. È facile localizzare oggi il rombo della guerra, il fragore delle esplosioni, la furia dell'uomo. Tuttavia questa è da sempre, è da subito, la nostra storia. Dentro questo furore immutabile, la novità di Gesù: «Vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi». Dio ha giudicato il mondo e l'ha trovato lontano. E invece di sdegnarsi, è lui stesso che viene, si carica della distanza, s'incarica di tutti i passi. Dio ha giudicato l'uomo e l'ha trovato lontano. E invece di condannarlo, si pone in cammino a ricucire i lembi della lontananza. Il Signore giudica me e mi trova con il cuore appesantito, e viene più vicino, perché anche un cuore pesante possa sentirlo. Avvento è il farsi prossimo di Dio. Ma non sulle nubi verrà, bensì nei piccoli gesti puri dei cuori assetati di pace; non su un trono di fiamme, ma nella delicatezza improvvisa di chi mi è vicino, nella gentilezza immeritata di un fratello o di uno sconosciuto, oggi, per me. Così sono al mondo, cittadino e straniero: custode dei giorni e pellegrino dell'eterno, guardando negli occhi le creature e fissando al contempo gli abissi del cielo; levando il capo verso l'alto e vegliando in basso sui fratelli; attento al mio cuore e attento al Padre. Mai rinunciando a un amore in nome di un altro amore. Secondo le temibili parole di Paolo: «Il Signore vi faccia abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti». Non solo amare, ma abbondare nell'amore; non solo verso i pochi che ti sono indispensabili per la tua vita affettiva, ma verso tutti. Abbondare, dare, senza misurare, senza selezionare, evangelicamente, dissennatamente, divinamente dare. In questo mondo così avaro di sentimenti, amare con abbondanza; in questo mondo così parsimonioso negli affetti, dare in eccesso. E questo, assicura Paolo, renderà saldo il cuore del mondo. Quel cuore che, come Dio, trova il suo riposo solo nell'affaticarsi ancora. |