Omelia (09-09-2012) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Ascolto, attenzione e proclamazione Come si suol dire, non c'è più sordo di chi non vuol sentire. Un assioma veritiero e comprovato che ha rilevanza maggiore nella Sacra Scrittura, nella quale i "sordi" sono per antonomasia coloro che si mostrano refrattari alla Parola di Dio, usando indifferenza e preclusione al messaggio del Signore. Poiché non ascolta la Parola, il sordo vi si oppone deliberatamente e di conseguenza si autoesclude dalla comunione con Dio, segnando per ciò stesso la propria condanna. Anche Isaia sottende alla rovinosa sordità degli Israeliti mentre annuncia la liberazione definitiva con il rientro del popolo d'Israele dall'esilio babilonese: Gerusalemme sta adesso tornando alla sua terra, alla sua città di origine e il popolo dimenticherà l'amarezza dell'esilio e l'asprezza del vivere in terra straniera; ma cosa aveva causato il rovinio dei Gerosolimitani se non la loro ottusità alla Parola, la loro ostinazione all'indifferenza? Dio si era mostrato loro come Padre di misericordia, fautore di ogni bene; aveva dimostrato la sua potenza con enormi prodigi sconvolgenti e aveva affermato la sua predilezione per tutti; eppure il popolo si era chiuso all'attenzione e all'ascolto del divino messaggio. Con il rientro in casa dei deportati adesso Isaia fa pertanto una promessa importante: "Si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi" poiché tale occlusione è causa fondamentale di peccato e di conseguente autopunizione. Il profeta accanto a sordi e ciechi nomina anche i muti: "Griderà di gioia la lingua del muto", e l'accostamento non è casuale, visto che coloro che vedono e sentono parlano di conseguenza: chi ascolta la Parola e chi "vede" il signore senza semplicemente guardarlo assume prerogative di sequela e di annuncio, per cui il suo labbro si scioglie nella comunicazione della Parola ad altri. Diventa insomma latore dell'annuncio di salvezza. Dio comunica ad ogni uomo più che la facoltà di udire la capacità di ascoltare, cioè di prestare attenzione e di considerare con spirito critico e partecipe. Allo stesso tempo, lo Spirito Santo infonde in tutti la solerzia missionaria dell'annuncio, la parresia, cioè il coraggio di franchezza nella comunicativa della Parola. Nel Sacramento del Battesimo siamo stati rivestiti dallo stesso Spirito di fortezza che ci ha liberati dai vincoli peccaminosi per purificarci dalla macchia originaria con il suo lavacro innovatore. Poi però ci è stato detto "Effatà", cioè apriti! e con un gesto contemporaneo sulle labbra siamo stati invitati a tradurre questo ascolto nella possibilità di annuncio, cosicché ciascun cristiano, in forza del Sacramento del Battesimo, è diventato capace di ascolto, di attenzione e di conseguente annuncio per cui la Parola di Dio, seppure non perde mai la sua efficacia, non potrà mai apportare i frutti per cui viene mandata allorquando deliberatamente ad essa ci mostriamo chiusi, freddi e insensibili. Nel Battesimo, Gesù "ha fatto bene ogni cosa; ha fatto udire i sordi e parlare i muti" come aveva fatto con il sordomuto di cui al brano odierno di Vangelo: "Gli pose (al sordomuto) le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!» ; la nostra coerenza e la buona disposizione dovrebbero far sì che nulla di ciò che è stato fatto bene si guasti o per l'uso eccessivo o per il poco uso. Oltre che nel Battesimo, ogni momento della nostra vita è un invito all'ascolto e all'attenzione, soprattutto nella nostra epoca che concede poco spazio al silenzio e alla concentrazione, avvincendoci con i suoi costumi e con le sue mode subdole e illusorie. Durante un anno in seminario all'inizio della mia formazione, mi rendevo conto di come anche presso i giovani aspiranti al sacerdozio le attitudini alla riflessione, all'ascolto e alla contemplazione venivano messe in crisi da una sorta di efficientismo e di parvenza esteriore che tendevano ad avere il sopravvento, per cui chi mostrava sensibilità interiore veniva guardato anche con sospetto. E non di rado la capacità di attenzione di contemplazione è più spiccata nel mondo secolare più che nel mondo cristiano, che pure dispone di un grande patrimonio di spiritualità e di preghiera. Non che si debba mancare di realismo e di spigliatezza, tuttavia le prerogative del silenzio, dell'ascolto e della meditazione dovrebbero essere l'obiettivo principale di noi cristiani, soprattutto nell'odierna ricerca di spiritualità sempre più crescente per la quale si avverte un diffuso bisogno di mistici e di contemplativi, mentre vanno di moda i tecnici e gli operatori elettronici. E' riconosciuto anche dagli stessi cultori dell'informatica e della tecnologia che la nostra epoca avverte l'esigenze di diplomati al Liceo Classico o di uomini dediti alla sola speculazione umanistica. Così pure è ormai assodato che il fabbisogno di preghiera e di spiritualità trova soddisfazione nei miti orientali del Buddismo o di altri culti appaganti. E' urgente allora che l'Effetà = Apriti torni ad essere il nostro obiettivo di fondo, il lite motive della nostra azione e della nostra vita quotidiana e soprattutto che si possa trovare a casa nostra quel Dio che si crede di trovare in altri luoghi. E' diventato indispensabile cioè ascoltare e annunciare. |