Omelia (25-01-2004)
mons. Vincenzo Paglia
Oggi questa Scrittura si è compiuta

La lettura evangelica di questa terza domenica del Tempo Ordinario riporta, nella sua prima parte (Lc 1,1-4), le parole iniziali del vangelo di Luca. In quest'anno sarà proprio questo evangelista che ci accompagnerà di domenica in domenica, quasi prendendoci per mano, perché cresca in noi la conoscenza e l'amore per il Signore
La tradizione, risalente a Ireneo, ci dice che Luca era medico, compagno di Paolo nei suoi viaggi e autore sia del terzo vangelo che degli Atti degli apostoli. Quasi certamente era un cristiano proveniente dal paganesimo e di formazione greca, il quale, con la sua presentazione storica dei fatti di Gesù, voleva diffondere il messaggio cristiano soprattutto nell'ambiente di cultura greca. In tal senso potremmo dire che tra i destinatari ci siamo anche noi.
Luca non ha voluto esporre un discorso su Gesù o sulla sua dottrina; ha invece narrato la vicenda dell'amore di Gesù per tutti gli uomini e le donne che incontrava, soprattutto i deboli, i poveri e i malati. L'evangelista - lo dice fin dall'inizio - parla di quegli «avvenimenti successi tra noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola» (v. 2). Narra perciò dei fatti; fatti di misericordia. Per questo, tra le molte definizioni che si danno di Luca, quella propostaci anche da Dante è tra le più belle: Luca, scriba mansuetudinis Christi, scrittore della misericordia di Cristo. Fatta questa premessa, il vangelo riprende la narrazione dai fatti che seguono immediatamente il battesimo al Giordano (4,14-21). «Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo» (v. 14). Gesù non resta vicino a Gerusalemme, dove ha ricevuto il battesimo, ove c'è il tempio, i sacerdoti e i capi del popolo, ove accorrono le folle e ove pulsa il cuore politico e religioso di tutta la nazione. Parte di qui e raggiunge la Galilea, la periferia della nazione, una zona che non gode di buona fama; non ci sono né capi, né sacerdoti, né ricchi, né potenti. «Da Nazaret può forse venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46), sentiremo dire più tardi. Eppure Gesù inizia a parlare proprio da dove nessuno si aspetta nulla: da una periferia disprezzata. Qualcuno potrebbe anche avanzare l'ipotesi che si tratta di una scelta poca saggia, o quanto meno avventata. E dal punto di vista umano non si può dar torto a tale obiezione. In effetti Gesù va in Galilea, non spinto da una logica umana, ma dallo Spirito; quello Spirito che era sceso su di lui nel battesimo presso il fiume Giordano. È questo Spirito che guida Gesù nel suo caminino, nelle sue scelte, nelle sue parole, nello stesso progetto di vita.
La prima tappa che l'evangelista ricorda è Nazaret. Qui Gesù tiene la sua prima predica. È sabato e, com'è suo solito, si reca alla sinagoga. Durante la preghiera sinagogale ogni adulto israelita può leggere e commentare la Scrittura. Quel giorno si presenta Gesù. Il ministro offre a Gesù il rotolo delle Scritture aperto al libro del profeta Isaia. Abbiamo ascoltato il brano letto da Gesù: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (vv. 18-19).
Terminata la lettura, Gesù chiude il rotolo. Tutti hanno gli occhi fissi su di lui; la meraviglia è notevole. Per quanto si può arguire dal vangelo, Gesù non si era mai fatto notare a Nazaret; non aveva seguito corsi di rabbino, né aveva operato cose straordinarie. Solo ultimamente si era sentito che aveva iniziato a parlare in altre cittadine della Galilea. È la prima volta che predica a Nazaret. Cosa dirà?
La liturgia, quasi per forzarci a entrare in questa scena evangelica, ci propone anche l'antica assemblea del popolo d'Israele radunato attorno al sacerdote Esdra. Tutto il popolo piangeva, - è la prima lettura - mentre ascoltava le parole della legge» (Ne 8,9). Piangeva perché, finalmente, il Signore era tornato a parlare, a raccoglierli e a offrire loro la speranza di una vita più bella. Non erano più un popolo abbandonato, senza speranza e senza parole. Si accese in loro la speranza che il mondo sarebbe stato visitato dal Signore.
A Nazaret, quel giorno, si realizzò quell'antica (e sempre presente) attesa degli uomini. Scrive Luca: «Allora cominciò a dire: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi"» (4,21). Chissà quante volte gli abitanti di Nazaret hanno ascoltato questo brano di Isaia. Eppure nessuno mai ha commentato: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura». Ecco perché è davvero un vangelo, una buona notizia per i poveri, per i prigionieri, per i ciechi, per gli oppressi, una vera consolazione per tutti. Con l'avvento di Gesù inizia un «anno di grazia», un «giubileo», un anno santo nel quale tutti sono liberati dalla schiavitù e dall'oppressione.
Ogni volta che il vangelo viene proclamato, si compie questo «oggi» di Dio, l'oggi della liberazione, l'oggi della festa, l'oggi del vangelo. Ogni volta che si apre il vangelo dobbiamo sentirci dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (v. 21). L'oggi di Dio entra nei nostri cuori, nelle nostre giornate, anche se tutto quel che accade intorno ci spinge a non credere più a nulla, a non ritenere possibile che questo «oggi» straordinario possa giungere per rassegnarci tutti all'ineluttabile.
Noi crediamo, invece, che l'«oggi» del Signore - quella festa di cui abbiamo ascoltato nella prima lettura - arriva per ogni uomo e per ogni donna, in tutti i luoghi della terra, anche in quelli nei quali sembra impossibile. Anzi, questo giorno, è già iniziato, iniziato anche in questa nostra chiesa. Sì, è appena agli inizi ed è ancora confuso tra i giorni e gli anni degli uomini, ma di giorno in giorno cresce nella misura in cui cresce l'ascolto del vangelo.