Omelia (09-09-2012)
don Alberto Brignoli
Apriti!

In un incontro tra due persone c'è spesso di mezzo una porta, pronta ad aprirsi o a chiudersi a seconda della disponibilità dei due di entrare in comunicazione. O comunque c'è sempre qualcuno che bussa e desidera entrare nella vita dell'altro, e qualcun altro chiamato a dare una risposta.
Questa è un'immagine molto cara a Gesù, e al Nuovo Testamento in generale. Molto nota e particolarmente suggestiva è la frase che conclude la prima parte del Libro dell'Apocalisse di Giovanni: "Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me". (Ap 3,20).
"Aprimi!" - ci invita personalmente il Signore quando vuole entrare in contatto con noi - ma soprattutto "Effatà!", "Apriti!". È l'unica parola - caso rarissimo nella lettura della liturgia domenicale - che Gesù pronuncia in tutto il brano di Vangelo odierno. E forse questa sua unicità vuol farci cogliere qualcosa di veramente importante, di unico: ossia, che la storia del nostro incontro con Cristo è la storia di qualcosa che si apre dentro di noi per fare posto a lui.
La storia dell'incontro tra Gesù e questo sordomuto - che è l'emblema di ognuno di noi - inizia in territorio "straniero", ovvero tra la Fenicia e la parte nord della Galilea: zone senz'altro poco amate dai ligi Giudei osservanti. Così come a molti benpensanti cristiani non va molto l'idea che l'incontro con Cristo spesso avvenga - almeno nel suo momento iniziale - al di fuori di una chiesa, di un oratorio, di un movimento o di un'associazione ecclesiale, ovvero in "pieno territorio della Decapoli"...
Eppure è lì che Gesù incontra un sordomuto, uno che non sente, ma soprattutto uno che non parla proprio perché non sente: uno che non riesce per ora ad essere annunciatore della Parola perché questa Parola ancora non la conosce, ancora non l'ha ascoltata. Del resto, è un uomo della Decapoli, uno straniero, uno "non di Chiesa", uno lontano da Dio...eppure Dio si fa prossimo a lui, ed è interessante che i due si avvicinino non perché abbiano l'intenzione di farlo, ma perché ci sono delle persone che "portano il sordomuto a Gesù" perché possa ascoltare la sua parola.
Anche nella Decapoli c'è gente che crede in Dio: soprattutto, c'è gente che basa il rapporto d'amicizia con una persona non solo sul cameratismo, sullo stare bene insieme, ma sul comunicare all'amico le cose che contano e che si sono scoperte come importanti per la vita. Quanti di noi possono dire di essere veri amici o di avere amici sinceri "sulle cose che contano", in questo caso sulla vita di fede? Quanti di noi, pur non essendo "della Decapoli", cioè pur non essendo estranei alle cose di Dio, siamo capaci di vivere le amicizie con gli altri comunicandoci la fede, e non solo le "stupidaggini da amiconi"? Gesù gradisce senz'altro questo atteggiamento di gente che apparentemente è "fuori" dall'appartenenza alla fede eppure accompagna altri (particolarmente quelli più lontani da lui) ad incontrarlo.
Ciò che Gesù senza dubbio non gradisce è che l'incontro decisivo avvenga in mezzo alla folla, per cui porta "in disparte" quell'uomo. L'incontro con Cristo non avviene mai sotto la luce dei riflettori, sulla ribalta dei palcoscenici o tra i titoli ad otto colonne dei giornali. Cristo lo incontri a tu per tu laddove ti lasci completamente prendere e pervadere da lui, dove ti lasci incontrare e lasci che la tua vita si riempia totalmente di lui, che con il sordomuto fa gesti magari poco idilliaci (mette le dita nelle orecchie e tocca la sua bocca con la saliva), attraverso i quali vuole dirci proprio la sua totale condivisione e assimilazione all'uomo che si trova lontano da lui.
Perché la fede è qualcosa di profondamente umano, concreto, in carne ed ossa: non si vive adagiandoci su una nuvoletta svolazzante in aria dove suoniamo l'arpa e cantiamo le lodi di Dio... la fede la si vive "impiastrandoci" con la nostra umanità, con il fango, il sudore e la saliva che il Signore è abituato a spalmare su chi vuole guarire (ricordiamo pure la guarigione del cieco nato).
Ma è chiaro che "l'umano" non basta: occorre una forza che viene dall'alto, e che per l'uomo di fede è possibile ritrovare dentro se stesso, perché Dio è più intimo a noi di noi stessi. Per questo, Gesù guarda verso il cielo e al tempo stesso "sospira" dal più profondo di sé per poi gettare la forza dello Spirito sull'uomo sordo e muto. La fede è un fatto concreto, terreno, carnale, materiale: ma non può stare in piedi, né tanto meno camminare, se non ha dentro la forza dello Spirito, che viene dall'alto ma che dimora dentro di noi e che dobbiamo saper far emergere continuamente.
E poi... apriti! Ora che hai incontrato Cristo, sciogli le tue labbra e annuncia ciò che Dio ha fatto per te. "Per te" significa, come il Maestro vuole, senza baccano, senza clamori, senza che troppa gente lo sappia. Perché la fede vera non ama fare chiasso intorno a sé: solo vuole annunciare e testimoniare con la vita, spesso nel silenzio operoso, ciò che Dio fa per noi.
Perché la fede è un po' muta: prima di iniziare a parlare deve imparare ad ascoltare, a creare il silenzio dentro di noi, e a lasciar parlare Dio.
Perché la fede non ha la preoccupazione di invadere e disturbare la vita degli altri, ma prima di tutto di invadere la tua vita, perché tu (come dice la prima lettura) non abbia più paura di ciò che hai sofferto quando eri sordo e non potevi ascoltare Dio, o muto e non potevi parlare con lui, o zoppo e non potevi camminare verso di lui: Dio è venuto verso di te, ti ha detto "Apriti!", e ti ha cambiato la vita.
E alla fine ti lascia pure un compito: quello di aprirti alla carità. Te lo ricorda Giacomo, completando il quadro della Parola che abbiamo ascoltato oggi: i poveri agli occhi del mondo sono stati scelti da Dio per essere ricchi ai suoi occhi.
Tutti i poveri: sia quelli di beni materiali che quelli che sono poveri dentro perché non hanno avuto la possibilità di incontrare lui. A loro dobbiamo aprirci, come all'immagine di Dio che è indelebilmente stampata dentro di noi.
Il cammino dell'incontro con Cristo, iniziato "fuori", "in disparte", "in pieno territorio della Decapoli", approda allora nell'assemblea, nella Chiesa, che non può essere una cerchia ristretta di persone che fanno comunella tra loro stessi o che ragionano sulla base di "favoritismi personali", ma che si apre ad ogni uomo, soprattutto al povero, per annunciargli che Dio è grande e che per l'uomo "ha fatto bene ogni cosa".