Omelia (02-09-2012) |
mons. Gianfranco Poma |
Ascoltatemi tutti e intendete bene! Con la domenica XXII del tempo ordinario riprendiamo la lettura del Vangelo di Marco, con alcuni versetti tolti dall'inizio del cap.7: in realtà, questi tagli operati dai liturgisti condizionano la comprensione piena del messaggio evangelico particolarmente intenso, inserito in modo preciso nel cammino che Gesù sta facendo percorrere ai suoi discepoli. Solo leggendo il brano nella sua integralità (Mc.7,1-23) possiamo comprendere l'intento di Marco, di condurre il suo lettore a far parte del gruppo dei discepoli di Gesù: dopo l'incontro con i farisei e alcuni scribi che si sono riuniti attorno a lui, Gesù convoca di nuovo la folla e alla fine entra in una casa con i suoi discepoli. In parallelo con il discorso di Gesù che sposta l'attenzione dei suoi interlocutori dall'esterno ad uno spazio interiore, al cuore, da cui dipende la realizzazione della vita dell'uomo, anche lo spazio concreto si fa più intimo, la casa, spazio simbolico che sottolinea la separazione dalla folla e suggerisce che da questo momento la casa sostituisce la sinagoga come luogo dell'insegnamento di Gesù. La casa corrisponde sul piano spaziale a ciò che rappresentano i discepoli sul piano sociologico: essi cominciano a formare il cuore della comunità dei discepoli, nella quale tutto è nuovo e tutto è così normale. Il genere letterario di questo brano, è chiaramente l'insegnamento, il discorso, sotto la forma anzitutto di una lunga controversia (v.1-13), poi di un insegnamento pubblico alla folla (v.14-14) e infine di una lezione in privato ai discepoli (v.17-23). Le tre parti trovano la loro unità nell'oggetto delle discussioni il cui scopo dall'inizio alla fine è la comprensione di ciò che è puro e ciò che è impuro: la discussione sulla "tradizione" domina la prima parte del discorso (v.1-13) mentre l'opposizione tra "esteriore" ed "interiore" segna fortemente le altre due parti (v.14-23). Tutto inizia da una domanda posta a Gesù dai farisei e da alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme che hanno visto i suoi discepoli prendere il cibo con mani impure, e sottolinea Marco, "cioè non lavate", soffermandosi poi in una descrizione particolareggiata delle usanze dei farisei: "Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo le tradizioni degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?" Si apre così una controversia nella quale per ben tre volte, citando Isaia e mettendo in evidenza l'opposizione tra le labbra e il cuore, denuncia l' "ipocrisia" dei farisei, la loro "abilità", nel "trascurare", "svuotare bellamente" "il comandamento di Dio" per "osservare la "tradizione degli uomini" sino ad arrivare alla conclusione: "Così, vanificate la sua Parola con la vostra tradizione che continuate a tramandare". I farisei sono persone particolarmente impegnate nell'osservanza della Legge e gli scribi nell'interpretarla fedelmente: la conclusione a cui Gesù arriva è particolarmente forte per loro e conserva tutta la sua importanza per noi, oggi. E' possibile "svuotare la Parola di Dio con tradizioni umane che si continua a tramandare": Gesù chiama "ipocriti" coloro il cui insegnamento conduce ad una pratica religiosa esteriore che nasconde una profonda indifferenza del cuore. La loro ipocrisia può non consistere necessariamente in una doppiezza soggettiva ma in una oggettiva contraddizione tra la loro intenzione e la realtà della Parola di Dio. E' significativo il passaggio che Marco fa', spiegando le parole di Gesù, dalla "volontà degli uomini" alla "vostra volontà" che si contrappone alla Parola di Dio: è sempre grande il rischio di fare della propria interpretazione una imposizione esteriore della propria volontà umana svuotando la Parola di Dio che parla sempre al cuore e interpella la libertà dell'uomo. E' certamente forte il messaggio di questa pagina evangelica ed è di netta rottura la posizione di Gesù in rapporto alle tradizioni umane dei farisei e degli scribi, eppure è di altrettanto grande continuità con la Parola di Dio e la sua grande "Tradizione": questa pagina evangelica è di una impressionante attualità per la luce con cui può illuminare i grandi problemi così urgenti per noi, oggi. Nei v.14-15 l'uditorio di Gesù si allarga alla folla chiamata a svolgere un ruolo puramente passivo: le è rivolto un messaggio, senza aver posto nessuna domanda e senza mostrare nessuna reazione. Solo è esortata ad ascoltare attentamente e a dare prova di intelligenza: si sottolinea in questo modo l'importanza e la centralità del messaggio che segue. "Non c'è nulla di esterno all'uomo che entrando in lui possa renderlo impuro: sono le cose che escono dall'uomo a rendere impuro l'uomo". Nella casa, poi, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogano sul senso di questa "parabola". La reazione di Gesù: "Anche voi siete così non intelligenti?" introduce i discepoli nella comprensione della dimensione interiore dell'uomo, dalla quale dipende la sua piena realizzazione nei rapporti con Dio, con gli altri e con il mondo. In questi versetti, per nove volte ricorre la parola "uomo": appare così l'importanza di questo brano nel quale è centrale il vocabolario della "purità" mentre, come in nessun altro passo, si allude alle parti del corpo (le mani, il gomito, il cuore, le labbra, il ventre, l'occhio), per la "antropologia" di Gesù in Marco. Due antropologie in realtà si confrontano, in questo passo: quella dei farisei e quella di Gesù. La prima è quella dell'uomo della "terra santa", che ha bisogno di leggi che lo proteggano, che lo separino dagli altri, che impediscano a ciò che è impuro di entrare dentro di lui. L'antropologia di Gesù è quella dell' "uomo", senza confini, cittadino del mondo. Quella dei farisei è l'antropologia delle mani, delle labbra e del ventre puro. Quella di Gesù è l'antropologia del cuore puro. È una nuova carta che si disegna progressivamente nel Vangelo di Marco, non più della terra santa, ma del mondo: le folle che si accostano a Gesù vengono dalla Galilea, dalla Giudea, da Gerusalemme, ...da Tiro e da Sidone; Gesù entra nei territori pagani...annuncia che il Vangelo sarà proclamato a tutte le nazioni. È proprio in funzione della missione universale che il Gesù di Marco proclama il superamento delle regole di purità legate ad una società particolare che esse dovrebbero proteggere. Il problema, per Gesù, non è più quello di esercitare dall'esterno un controllo perché nulla entri nell'uomo per corromperlo: l'unico organo che si trova sotto controllo è il cuore. Ma il cuore è un elemento interiore che non ammette un controllo sociale, dello stesso tipo. La preoccupazione di Gesù non è più di montare la guardia dall'esterno, ma di vegliare su un'istanza interiore, invisibile. È possibile, ed è meraviglioso, allora, percorrere tutto il Vangelo di Marco dove si trova la parola "cuore": 2,6.8; 3,5.6; 6,52; 7,6.19.21-23; 8,17; 11,33; 12,30-33. Per i farisei c'è tutta una strategia difensiva che previene il contatto con ciò che è impuro: i molteplici precetti di purificazione indicano come ritrovare lo stato di purità qualora fosse stato perduto. Gesù non si ritrae dal contatto con chi e con ciò che è impuro, ne fa anzi una fonte di santità. La sua è una strategia offensiva: la forza di santità, che proviene dal suo cuore, vince ciò che è impuro e dilata gli spazi della vita. La novità dell'antropologia di Gesù dipende da ciò che è centrale nel Vangelo: "il regno di Dio è vicino"; il cuore umano di Gesù è il luogo in cui si manifesta l'Amore del Padre. La fede apre il cuore di ogni uomo all'incontro con il cuore di Cristo, lo rende libero, capace di amare e di rendere pura ogni cosa. Rimangono le difficoltà, le resistenze, ma le barriere sono abbattute: ogni particolarismo è vinto, la via per la missione universale è aperta. |