Omelia (09-09-2012) |
mons. Gianfranco Poma |
Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti! Nella domenica XXIII del tempo ordinario continuiamo la lettura del cap.7 de Vangelo di Marco (Mc.7,31-37): dopo aver condotto i discepoli a comprendere che per un autentico rapporto con Dio l'uomo non ha bisogno di una terra sacra che lo protegga esteriormente da ciò che può contaminarlo, o da leggi o da prescrizioni difensive, perché tutto dipende dal suo cuore che ne fa un libero cittadino del mondo, la vita di Gesù con i suoi discepoli ormai spazia nei territori al di là dei confini di Israele a contatto con donne e uomini che non fanno parte del suo popolo. La Liturgia omette la lettura del piccolo ma importante brano di Mc.7,24-30, la guarigione della figlia della donna siro-fenicia. Brano singolare è questo nel quale nell'incontro tra Gesù e la donna non compare la parola "fede" né il verbo "credere". Il personaggio centrale non è la donna, ma Gesù, un Gesù particolare, finora sconosciuto. Marco ci ha mostrato un Gesù che opera per coloro che incontra: qui Gesù comincia ad opporre un rifiuto alla madre che chiede. Certo, alla fine la esaudirà, ma qui accade un fatto nuovo, che lei prima fa qualche cosa per Gesù. In seguito, sarà la donna di Betania che viene a spargere il profumo sul capo di Gesù pochi giorni prima della sua morte (Mc.14,3-9), e saranno Maria di Magdala e le sue due amiche, al mattino di Pasqua, che cercano di dare a Gesù una degna sepoltura (Mc.16,1ss.): sono sempre le donne che fanno qualcosa per lui. La donna sconosciuta, di lingua greca, di origine siro-fenicia, che appena saputo di lui era andata e si era gettata ai suoi piedi supplicandolo per la sua bambina e si era sentita rispondere: "Lascia che prima si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini", esce con una semplice frase, detta senza il minimo calcolo, ma che mette in crisi tutto, per lei certo, ma anzitutto per Gesù. Quando lui dice: "Non è bene...", certo pensa alla volontà di Dio, che egli è mandato ad attuare per i suoi figli. La risposta di questa donna è splendida: non è la risposta di una donna offesa, non contesta il modo di vedere di Gesù, solo lo dilata. Con grande umiltà, ma con l'intelligenza e l'amore di una donna-madre dice: "Sì, Signore: anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli". Questa umile osservazione di una donna straniera, diventa per Gesù di colpo come una porta che si apre e gli fa scoprire che è venuto il giorno nel quale la promessa fatta ad Abramo comincia a realizzarsi. Una donna, una straniera, una pagana, è lo strumento di cui Dio si serve per far conoscere a Gesù la sua volontà: è venuta l'ora nella quale il suo Amore non può più essere rinchiuso dentro confini geografici, etnici, religiosi, dentro una legge o una cultura. Gesù ha saputo ascoltare la Parola del Padre nella parola di una donna, straniera, pagana: anche per i suoi discepoli, oggi per noi, si aprono gli orizzonti. Il brano che oggi leggiamo (Mc.7,31-37), è altrettanto importante: si tratta della guarigione di un sordo che parla con difficoltà. All'apparenza semplice, la sua struttura segue le tappe classiche di un racconto di guarigione: la domanda, la realizzazione, la constatazione, l'acclamazione. La sola curiosità, in questa struttura, è l'ingiunzione di silenzio che precede l'acclamazione, tanto più singolare nel racconto di un evento che riguarda la restituzione ad una persona della possibilità di comunicazione, fatto che suscita l'ammirata acclamazione: "Ha fatto bene ogni cosa e fa udire i sordi e parlare i muti". In realtà è proprio l'ingiunzione di silenzio la chiave interpretativa di questo brano come di tutti i racconti di "miracolo" del Vangelo. Ad una lettura attenta, allora, i particolari rendono più complessa la comprensione di una pagina semplice solo all'apparenza che Matteo che nel suo racconto segue Marco, omette: probabilmente Matteo che insiste sulla missione dei Dodici rivolta alle pecore perdute di Israele (Matt.10,5-6) ha ritenuto incoerente riportare un evento totalmente immerso nelle regioni pagane. Marco infatti, in modo chiaramente simbolico, intende positivamente sottolineare che Gesù vuole incontrare dei pagani. E' un pagano dunque, questo "sordo che parla con difficoltà": probabilmente, sordo dalla nascita, di conseguenza non riesce a formulare bene le parole che non ascolta, probabilmente apatico. Sono gli altri che lo portano da Gesù e lo pregano di imporgli la mano: bell'esempio di intercessione, questo pregare per uno che si è chiuso in se stesso. "Lo prese in disparte, lontano dalla folla...": i particolari sono tutti singolarmente significativi. Gesù vuole eliminare ogni spettacolarità, vuole ricostruire la persona perché sappia veramente "ascoltare e parlare bene". ... "E subito si aprirono i suoi orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava rettamente. E raccomandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava più essi lo proclamavano". Ma perché raccomanda di non dirlo a nessuno? Nel cammino che Gesù sta facendo compiere ai suoi discepoli c'è tutta una gradualità: egli non vuole essere un guaritore, un taumaturgo. I gesti che egli compie sono segni della presenza del regno di Dio nel mondo, segni dell'Amore di Dio nella fragilità della storia. La sua resurrezione sarà il segno della forza di Dio che vince la morte. E' alla luce della risurrezione che Gesù vuole che vengano interpretati i suoi segni, altrimenti sarebbero solamente illusione di un benessere fuggevole, di una ingannevole felicità. Quando il Vangelo viene scritto, la risurrezione è già avvenuta: il lettore già conosce l'evento finale alla luce del quale si illumina tutta la vita di Gesù, i suoi gesti, le sue parole. Se egli impedisce che sia anticipata la notizia dei suoi gesti, ormai il tempo dell'annuncio è venuto: è la fede nella risurrezione di chi annuncia e di chi ascolta che ne coglie la pienezza di significato. La guarigione dell'uomo sordo, perché possa ascoltare e parlare in modo retto, diventa in Marco, simbolo della ricreazione dell'uomo, avvenuta nella risurrezione di Cristo, perché possa "ascoltare" e "dire" la Parola di Dio. Tutto è così concreto: l'uomo sordo che parla con fatica, chi lo porta a Gesù e lo prega; Gesù che lo porta in disparte, lo tocca...la mano, le dita, gli orecchi, la lingua... E pure tutto è simbolico: Gesù che guardando verso il cielo emette un gemito e pronuncia la parola in aramaico tradotta in greco, che immediatamente diventa operatrice dell'uomo nuovo che ascolta e parla, tutto evoca la fatica della Pasqua, il passaggio di Gesù dall'oscurità, il silenzio, la morte, all'alba di un mondo nuovo, generato dall'incontenibile Amore di Dio. Se da una parte Gesù raccomanda di non parlare di miracoli, dall'altra egli stesso raccomanda (Marco crea un "ironico" gioco di parole) di "annunciare" al mondo che ormai l'uomo ricreato è diventato capace di ascoltare e di parlare. Il commento finale dell'evangelista è stupendo: "...e pieni di stupore dicevano: ‘Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti'". Lo stupore di Dio di fronte alla bellezza di ciò che aveva fatto (Gen.1,31), adesso è condiviso dall'uomo a cui ha aperto gli orecchi per ascoltare la sua Parola ed ha sciolto la lingua per parlare con lui: un uomo, pagano, fuori dei confini sacri, è simbolo della meraviglia compiuta da un Dio che vuole essere solo comunione d'amore. E noi sappiamo, oggi, stupirci di ciò che Dio fa per noi e di viverlo? |