Omelia (09-09-2012) |
Gaetano Salvati |
Dialogo nel silenzio "Loda il Signore, anima mia", perché Egli "rimane fedele per sempre" (Sal 145,6). Le parole del salmista risuonano nel discorso del profeta Isaia, il quale, rivolgendosi agli esuli che ritornavano da Babilonia, diceva: "coraggio" (Is 35,4), il Signore "viene a salvarvi". In questa frase non è nascosta solo la speranza di una imminente vittoria contro la morte; ma, soprattutto, la forza di Dio che non abbandona l'uomo che si affida al Suo nome. Tale fedeltà è resa ancora più visibile dall'azione di Gesù. San Marco narra che il Signore venne verso il territorio della Decapoli (Mc 7,31). L'evangelista riferisce che alcuni "gli portarono un sordomuto" (v.32), affinché potesse guarirlo. Non è riportata l'invocazione dell'infermo, ne tantomeno questi evidenzia un'atto di fede verso Gesù: infatti, sono altri che pregano il Signore "di imporgli la mano" (v.32). Allora, il Maestro prese in disparte il sordomuto (v.33), e portò a termine un'azione commovente per il suo grado di intimità e per l'eccesso che è proprio del linguaggio dell'amore: pose le dita "negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua" (v.33). Questo gesto (in particolare l'uso della saliva) esprime la comunicazione personale di Dio nei confronti della creatura: lei non è lasciata nelle tenebre dell'oblio, ma, attraverso la missione del Figlio, è condotta verso la gloria di Dio. In Gesù di Nazaret, quindi, l'umanità può conoscere la bellezza di un Dio coinvolto, eppure sempre Altro, nella storia del mondo. Continuando con la narrazione del vangelo, Gesù, subito dopo aver toccato il sordomuto, guardando verso il cielo disse: "Effatà, cioè apriti" (v.34). Sicuramente, la parola rivolta da Cristo Gesù ha la funzione di comando: Egli è il Signore della vita e può operare il miracolo; allo stesso tempo, è anche un'invocazione all'ormai ex infermo: il Maestro, mostrandogli la via, la Sua prossimità con il segno della saliva, conduce il miracolato alla comprensione della verità. San Marco narra che egli ha creduto che quel forestiero è in grado di donare la vita, ed è stato guarito. Il passo del vangelo, dunque, deve condurci a scorgere i segni di Dio nelle nostre vicende quotidiane; ancora, ad assumere un comportamento dinamico (in ascolto dell'Altro) nei confronti della vita cristiana. Difatti, Gesù con la parola "apriti", invita ciascuno ad iniziare un dialogo con Lui. Come il sordomuto, che ha accettato l'offerta gratuita del Signore, e per questo è stato svegliato dal torpore che gli impediva di parlare e ascoltare (vivere il cristianesimo), anche noi dobbiamo fare spazio nel nostro cuore al Suo intervento. Egli mostra che non è possibile viverLo se prima non ci lasciamo portare in disparte da Lui; se, prima di essere guariti dalle infermità, non Lo incontriamo, non sostiamo in Sua compagnia. In effetti, perché il Maestro trasformi la nostra vita in una lode perenne a Dio, è necessario che Egli entri nel nostro intimo, nel silenzio della nostra anima. Ma, come faremo ad aprirci alla misericordia divina? Nella profondità della nostra anima, lontani dalla confusione del male, ci accorgeremo di essere "malati", peccatori, e, al contempo, bisognosi della Sua guarigione: in questo luogo, guariti dalla Sua presenza, riusciremo a testimoniare che solamente il Signore muta le afflizione in gioie, le ansie del domani nell'oggi di pace. Amen. |