Omelia (09-09-2012)
Marco Pedron
Apriti

Dopo il vangelo di domenica scorsa, Gesù fugge, si nasconde in territorio pagano (Mc 7,24). Gesù finora aveva predicato agli ebrei, in Galilea. Adesso scappa: dopo lo scontro con i farisei e gli scribi sulla questione del puro e dell'impuro, delle abluzioni e del lavarsi le mani (Mc 7,1-23), Gesù capisce che rischia, che quelli non solo sono malintenzionati ma possono veramente imprigionarlo e fargli molto altro. Così se ne fugge e di proposito si nasconde in territorio pagano. E non solo fugge ma cerca proprio di non farsi vedere da nessuno (Mc 7,24).
Fuggire di fronte ad una tigre è cosa buona? Sì, decisamente! Perché? Perché non è il caso di affrontarla. Altrimenti non abbiamo scampo.
Lo diceva anche Gesù: "Mettiti d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione" (Mt 27,25). Cioè: è meglio che fai bene i tuoi calcoli, se puoi risultare vincente sulla questione, perché poi il giudice sentenzia e se hai torto finisci in prigione.
Oppure: "Quale re, partendo per una guerra contro un altro re, non siede prima ad esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?" (Lc 14,31). Cioè: uno fa i suoi calcoli e si dice: "Sì, io vorrei fare quella cosa, ma ne ho oggi anche la capacità, la possibilità?". Perché se vedo che non ce l'ho (che lui è più forte) lascio stare e cerco di mettermi d'accordo con lui.
Gesù fa i suoi calcoli e si dice: "Adesso fuggo". Poi non farà così, ma adesso sì. Forse non era pronto; forse doveva ancora costituire bene il gruppo degli apostoli; forse non aveva la forza interiore necessaria. Non sappiamo. In ogni caso adesso fugge.
Le persone dicono: "Voglio questo!". "D'accordo: ma hai la capacità di fare ciò che vuoi fare?". Cioè: non basta volere, desiderare una cosa, ma bisogna avere anche la capacità di fare, di sostenere ciò che si vuole fare. Perché altrimenti poi è un disastro.
Bisogna volere una cosa perché accada, ma non basta. Bisogna infatti che ci sia anche la possibilità.
Un figlio è andato da suo padre e gli ha detto: "Voglio un'auto!". E il padre gli ha detto: "Ma hai i soldi per comprartela?". "No, per questo sono venuto da te!". "Quando avrai i soldi per comprartela, te la comprerai" gli ha risposto il padre. Giusto: non basta volere una cosa per averla, bisogna anche averne le possibilità, le capacità.
Una persona è venuta e ha detto: "Voglio cambiare vita!". Bello! Questo è l'obiettivo, ma adesso dobbiamo chiederci: "Sei in grado di fare ciò che vuoi fare?". Cioè: "Hai una certa sicurezza, un po' di libertà interiore, un'autonomia dal giudizio degli altri sufficiente, un certo grado di consapevolezza?". Perché se la risposta è no lavoreremo prima su questo. Poi un giorno, allora, sarai anche in grado di fare ciò che vuoi fare.
Viene una coppia in crisi: "Siamo in crisi, vogliamo tornare ad amarci!". Bene, l'intenzione è buona. Ma ci sono le capacità in questo momento? Perché spesso non ci sono. Allora bisogna lavorare per procurarsi gli strumenti: capacità di parlare, di ascoltare, di mettersi un po' nei panni dell'altro, di non imporre il proprio punto di vista, accettare la diversità, ecc.
Le persone dicono: "Voglio sentire Dio". Benissimo! "Sei capace di ascoltarti?". "No!". "Sei in grado di fermare il flusso di pensieri che hai in testa che è come una lavatrice sempre in funzione?". "No". "Sei in grado di emozionarti, di piangere, di sentire, di provare misericordia?". "No". E dove vuoi che andiamo! Come vuoi che facciamo! Prima lavoriamo su questo e poi...
E' come dire: "Voglio fare parapendio". Bello! "Hai fatto il corso?". "No!". "E allora! Dove vuoi andare?". "Hai il parapendio?". "No!". "E con cosa credi di poterlo fare?". Cioè: prima creiamo le condizioni, cioè la possibilità perché accada e poi la situazione da sé, spontaneamente accadrà.
Gli orientali dicono: "Quando il discepolo è pronto il maestro arriva".
Le cose accadono quando c'è la possibilità che accadano. Prima no.

Gesù pensa: in terra pagana nessuno verrà. E invece lo trovano anche lì. D'altronde è sempre così, è ovvio che sia così. Dove c'è verità, guarigione, amore, le persone vanno, assediano quei posti, quei luoghi e quelle persone. Dove non c'è, invece, non ci vanno.
Così Gesù lo scovano anche qui. E lo trova una donna pagana. E con lei c'è un dialogo stranissimo.
La donna va da Gesù e gli dice: "Mia figlia è posseduta da uno spirito immondo". E gli chiede di guarire la figlia (Mc 7,27). Gesù le risponde in maniera seccata, scortese, villana: "No! Il pane è per i figli e non per i cani!" (Mc 7,27). E' sconvolgente vedere un Gesù arrogante e insensibile. Ma com'è possibile, tutto questo? Infatti le dice: "Tua figlia è ammalata (e lui può guarirla!): beh, io non voglio guarirla". "Tu sei "figlia di un cane"": se non è maleducazione questa!
Ma la donna argutamente, prontamente, furbescamente, risponderà: "Sì, è vero, il pane è per i figli ma anche i cagnolini si cibano almeno delle briciole". Cioè: è vero che non si può togliere il pane ai figli per darlo ai cani, ma anche i cani mangiano le briciole, gli avanzi, quello che resta del pane. E la figlia guarirà.

Quel vangelo si può leggere almeno su tre piani.
1. Il piano missionario.
Gesù all'inizio della sua missione si era proposto non come innovatore ma come riformatore. Gesù, cioè, voleva riformare la religione ebraica che considerava vecchia, stantia e morta. Per questo all'inizio si rivolgeva da buon ebreo solo agli ebrei. Ma qualcosa cambiò anche dentro di Lui: il suo Dio non era solo il Dio degli ebrei, ma di tutti.
Qui si scontrano le due immagini di Dio di Gesù. L'immagine vecchia, cioè "il pane è solo per i figli" che vuol dire: "Dio e la salvezza sono solo per gli ebrei". La donna, invece, gli insegna qualcosa di nuovo: "Gesù, tutti abbiamo bisogno di Dio. Dio è di tutti. Anche noi "cagnolini" abbiamo bisogno del suo pane". E non a caso il brano successivo sarà la seconda moltiplicazione di pani (Mc 8,1-9).
Gesù apre, allarga la sua comprensione: Dio è davvero di tutti, per tutti e con tutti.

2. Il piano di Gesù. Qui abbiamo un episodio dove una donna insegna qualcosa a Gesù. Anche Gesù ha imparato; anche lui ha trovato chi gli ha insegnato; anche lui ha detto in certi momenti: "E' vero, hai ragione tu e non io!".
Noi, non si sa perché ma è così, abbiamo creduto che Gesù sapesse tutto. Lui aveva una tv digitale in testa, un computer in contatto con l'Aldilà per cui sapeva e vedeva tutto. Abbiamo pensato che Gesù non avesse bisogno di imparare: Lui sapeva già tutto! Abbiamo pensato che Lui vedesse tutto: passato, presente, futuro. Abbiamo pensato che Lui fosse perfetto.
E infatti, che Gesù pregasse ci stonava un bel po'. Ma come? Gesù ha dei problemi? Ha delle difficoltà? Ha bisogno anche lui di ricaricarsi? In certi giorni anche Lui è scarico, sfiduciato, rammaricato? Anche Lui vuole mandare tutti e tutto "in malora"? Sì. Per questo anche Lui pregava. Anche Gesù ha dovuto imparare. Anche Lui non sapeva tutto. Anche Lui ha avuto i suoi maestri.
Le persone dicono: "Ma quello che sentiamo non è come quello che abbiamo sentito a catechismo!". "Per fortuna!". "Quanti anni avevi a catechismo?". "Otto!". Se fosse uguale avresti ancora otto anni. Ad otto anni credevi a Babbo Natale e alla Befana: non era sbagliato, avevi otto anni. Poi nella vita si impara e sempre si impara. Morire è smettere di imparare.
Un giorno il discepolo chiese al maestro: "Maestro tu sai tutto: quando morirò?". "Quando smetterai di imparare!".

3. Il piano della donna. Il dialogo è molto simbolico.
Il pane è il cibo che la donna dà alla bambina. Il vangelo parla di "figlioletta". La donna nutre la bambina in tutto. Ma è proprio per questo che la bambina ha un demonio: la madre la nutre in tutto. La figlia è posseduta sì, dal demonio della madre. Cioè: la madre la gestisce in tutto così che la bimba non ha iniziato a sviluppare la sua identità di persona.
Quando va da Gesù con la pretesa di nutrirla "come i figli", cioè totalmente, del tutto, completamente, dovrà invece imparare, adesso a nutrirla un po' ("come le briciole dei cagnolini").
Cioè: "Devi lasciarle spazi di libertà, devi smettere di dirle tutto quello che deve fare, di dirigerla in tutto; devi lasciarla sbagliare e comunque provare, altrimenti la fai morire". E lei lo imparerà e la figlia infatti guarirà.
Amare troppo è far morire. Amare troppo è soffocare.
C'è una donna che ha una figlia di otto anni. Lei la veste, lei le dà da mangiare, lei le dice cosa fare; la madre fa tutto. Lei dice: "Io le voglio bene". Capisco, ma questo bene, non fa bene. Perché se tu fai così sai cosa accadrà?
- Che tua figlia non imparerà mai ciò che deve imparare: e cosa accadrà quando avrà delle difficoltà, dei problemi? Andrà dalla mamma? Verrà da te? Ci sarai sempre tu (motivo inconscio per cui la madre fa così: essere utile a qualcuno)?
- La svalorizzi. Quando fai tu quello che lei dovrebbe fare, le stai dicendo: "Non sei capace. Tu non sei buona, faccio io". Diventerà una donna deficiente (cioè con grandi deficit).
La donna del vangelo imparerà: dovrà ancora esserci per sua figlia, ma in maniera più defilata, minore, non potrà più essere così presente come prima. Dovrà nutrirla ancora, ma molto meno. Dovrà lasciare che la figlia si arrangi, faccia lei; dovrà accettare di non avere più potere totale su di lei.
Imparerà che l'amore, nella sua essenza, è non avere potere su nessuno.

Dopo quel brano c'è il vangelo di oggi. Gesù è ancora in territorio pagano e fa un altro miracolo. Ciò che è incredibile nei vangeli è che più la gente era lontana da Dio e più era disponibile ad accogliere Gesù. E più la gente era religiosa e più invece rifiutava Gesù.
Perché? Perché se tu hai le tue idee su di Lui, quando Lui viene o lui rientra nelle tue idee o lo rifiuti. Chi invece è libero dentro lo può accogliere. Ma chi è già "occupato" non può. Non c'è spazio.
La Bibbia conosce un episodio molto famoso (1 Re 17,7-24) dove il profeta Elia in questa terra pagana di Tiro e Sidone resuscita il figlio di una vedova. E solamente lì il grande profeta può operare qualcosa, perché altrove, in terra "religiosa" di Israele, si vede che non trovava nessuna fede!
E quando Gesù ricorderà questa cosa (Lc 4,25-28) il vangelo riporta: "C'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia... ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone... All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno".

Di questo uomo si dice che è un sordomuto. Si utilizzano due parole per dire sordomuto. Kophos (Mc 7,32) vuol dire non solo sordo ma anche ottuso, spento, senza energia, stolto, pazzo, insensibile. Quest'uomo non sente, non è in contatto con i suoni, con la sua energia. E' vuoto; è spento. Moghilalos (Mc 7,32) non vuol dire solo muto ma anche balbettante, che fa fatica a parlare.
Osserviamo poi che si dice un'altra cosa: "Glielo portarono" (Mc 7,32). Cioè non ci va lui. Questo è interessante: l'uomo non ha tanta voglia di guarire. Perché uno che è sordomuto può andare da Gesù. Un paralitico no, ma un sordomuto ha le gambe per andarci. Per guarire bisogna voler guarire, bisogna cioè essere disposti a fare tutto ciò che c'è da fare.
Qui, forse, l'uomo si era abituato: meglio stare così (sordomuto) che guarire. E vediamo subito perché non voleva guarire. Per guarire bisogna cambiare qualcosa.
Se fai quello che hai sempre fatto otterrai quello che hai sempre ottenuto: se vivendo così sei diventato sordomuto, per non esserlo più devi vivere in maniera diversa.

Gesù fa quattro cose. Tutto è simbolico, significativo e terapeutico.
1. Lo porta lontano dalla folla: essere se stessi, non gli altri.
Nei vangeli succede spesso che Gesù debba fare questo: portare il malato lontano dalla folla. Quando Gesù guarisce la figlia di Giairo (Mc 5,40), deve cacciare fuori tutta la gente che urla e sbraita perché la bimba è morta e prende con sé solo il padre, la madre e alcuni suoi discepoli. Il paralitico (Mc 2,4) che gli portano su un lettuccio non può arrivare da Gesù perché c'è troppa gente e la folla gli impedisce di arrivare dal guaritore. Per questo lo calano giù dall'alto. Il ragazzo epilettico (Mc 9,25) viene guarito prima che la gente accorra da Gesù. Al cieco di Betsaida, dopo averlo guarito, intima di "non entrare nel villaggio" (Mc 8,22). L'emoroissa che tocca il mantello di Gesù di nascosto, protetta dalla calca della gente è costretta a venire fuori dall'anonimato, dalla folla anonima, a mettersi in gioco: "Chi mi ha toccato?" (Mc 5,30).
Quando sei allo stadio, ad un concerto, sei uno dei cinquantamila, sei folla, ma sei nessuno, a-nonimo. Gesù, invece, farà sempre uscire i malati, li farà venire avanti, li metterà al centro.
La folla ti nasconde: sei uno fra i tanti, protetto, ma sei nessuno. Guarigione per Gesù, invece, non è essere nessuno (a-nonimo=senza nome) ma essere qualcuno, avere un nome, un'identità, essere se stessi. Per questo Gesù deve portarlo lontano dalla folla: "Tu non sei uno dei tanti. Tu sei tu. Riprenditi la tua vita. Osa essere te stesso, il tuo nome. Vivi la tua originalità e non nasconderti. Non vivere nascosto, vieni fuori, mostra chi sei, non vergognarti di te e del tuo volto". Per guarire, allora, bisogna osare essere se stessi, individuarsi, venir fuori. A Lazzaro Gesù dirà: "Vieni fuori!" (Gv 11,43). Emergere, letteralmente vuol dire: "Esci, vieni fuori dal nulla". Osa il tuo pensiero, la tua vita, le tue scelte: sii te stesso.
E' meravigliosa la storia del topo che aveva una paura matta dei gatti. Allora un mago ebbe compassione di lui e lo trasformò in gatto. Però, quando fu gatto, cominciò ad aver paura dei cani. Il mago, impietositosi per una seconda volta, lo trasformò in cane. Ma, fatto cane, cominciò ad aver paura delle pantere. Quando fu pantera ebbe una terribile paura degli elefanti. E quando fu elefante dei topi. Allora il mago gli disse: "Non c'è niente che io possa fare per aiutarti perché tu continui sempre ad avere il cuore di topo!". Non potrai mai essere felice se continui a rincorrere l'essere qualcun altro.

2. Dita negli orecchi: ascoltarsi (Mc 7,33).
Le persone spesso chiedono: "Cosa devo fare?". "Non posso dirtelo, io non sono te. Tu cosa vuoi?". "Non lo so!". "Ascoltati!". "Ma non lo so fare bene". "Ho capito, cerca di ascoltarti meglio". "E se poi sbaglio?". "Possibile: ma 1. se non provi, mai farai niente; 2. non esistono errori ma solo apprendimenti. Avrai capito che quello non ti va. Perché per imparare è necessario imparare ciò che non ci va".
Insegniamo alle persone ad ascoltare le proprie emozioni. Così impareranno chi sono e cosa vogliono. Perché se tu non sai cosa fartene della tua vita, il mondo sa benissimo cosa fare della tua vita. Cioè: se tu non ti ascolti e non dirigi la tua vita, altri lo faranno per te.

3. Toccò la lingua con la saliva (Mc 7,33).
Imparare ad esprimere ciò che si ha dentro.
"Ma tu non mi capisci mai. Dovresti vedere cos'ho!". Esprimi: se hai qualcosa lo dici! Non hai uno schermo in testa che gli altri accendono e vedono quello che hai dentro. Hai qualcosa: lo devi dire.
"Mi piacerebbe fare questa cosa...": lo dici! "Ma ho paura!": vinci la paura e lo dici.
"Dentro ho un peso tremendo": lo esprimi altrimenti il peso te lo porterai per sempre, per tutta la vita.

4. Una parola, secca, decisa e forte (Gesù perfino sospira), un comando: "Effatà, apriti" (Mc 7,34).
Al cuore diciamo: "Apriti!". Un uomo ha paura di amare, di innamorarsi, perché è stato "scottato", perché ha paura di soffrire ancora. Gesù, la Vita, dice: "Apriti!".
Alla vergogna diciamo: "Apriti!". Una donna, da giovane, ha abortito e se ne vergogna da morire. Gesù dice: "Apriti, torna a vivere e perdonati. Io l'ho già fatto!".
Alla mente diciamo: "Apriti. Impara, conosci, scopri, accetta le nuove scoperte scientifiche della scienza. La mente è come il paracadute: se non è aperta non serve".
Una mamma dice: "Mio figlio è insopportabile. Lui non vuole mai mettersi le scarpe gialle. Sono le migliori che ci sono". Ma se sai... Non è un affronto a te. E' solo che un bambino a 3 anni ha potere in ben poche cose, per cui il suo "no" alle scarpe gialle è l'unico modo per dire: "Almeno su una cosa lasciami decidere". Non è cattivo, sta solo cercando di affermarsi. Se lo sai... sei quasi contento che sia così!!!
Un giorno un grosso lupo aspettava che una dolce bambina, vestita con il suo cappuccetto rosso, portasse alla nonna il cestino con le cibarie. Il lupo chiese alla bambina: "Porti quel cestino alla nonna?". "Sì", rispose la bambina. Si fece anche dire dove abitava e poi il lupo scomparve nel bosco. Quando la bambina aprì la porta della casa vide subito che nel letto non c'era la nonna ma il lupo, perché anche a sette metri di distanza per quanto un lupo si metta in testa una cuffietta non somiglia ad una nonna più di quanto un autobus somigli a Sofia Loren. Così estrasse dal suo cestino una pistola automatica e fece secco il lupo: ... non ve l'aspettavate? Le cose cambiano.
"Apriti!" vuol dire le cose evolvono. Ciò che non evolve è morto; ciò che vive diviene. Vi è mia capitato di passare in un paese dieci anni dopo dall'ultima volta? Tutto diverso! E' normale. La vita diviene, è viva, si modifica, cambia. Apri la tua mente e sii sempre in movimento.
Con tua moglie, con tuo marito: "Apriti. Questa è intimità". Racconta i tuoi segreti, i tuoi pensieri nascosti e tu moglie/marito accogli tutto questo come un regalo.
Con chi ami: "Apriti".
Alcuni uomini non sanno quant'è importante che essi ci siano.
Alcuni uomini non sanno quanto faccia bene, anche solo vederli.
Alcuni uomini non sanno quanto sia di conforto il loro benevolo sorriso.
Alcuni uomini non sanno quanto sia benefica la loro vicinanza.
Alcuni uomini non sanno quanto saremmo più poveri senza di loro.
Alcuni uomini non sanno di essere un dono del cielo...
... Lo saprebbero se noi glielo dicessimo.

"Nn...: Effatà, Apriti". Ci metto il mio nome: in cosa io mi devo aprire? Cosa devo aprire?

Pensiero della Settimana

Siate il meglio.
Se non potete essere un pino sulla vetta del monte,
siate un cespuglio nella valle,
ma siate il miglior piccolo cespuglio sulla sponda del ruscello.
Se non potete essere una via maestra siate un sentiero.
Se non potete essere il sole siate una stella.
Siate il meglio di qualunque cosa siate.
Cercate ardentemente di capire a cosa siete chiamati
e poi mettetevi a farlo appassionatamente.
(M. L. King)