Omelia (09-09-2012) |
don Luigi Trapelli |
Effatà, apriti. Il brano del Vangelo di questa domenica ci presenta un episodio di guarigione di un sordomuto. Il territorio dove avviene il miracolo non è ben definito, ma è sicuramente un luogo abitato da pagani. E' importante cogliere ogni singola sfumatura di questo testo, dalla comprensione non immediata. Gesù guarisce un sordomuto, quindi una persona che è priva della parola perché non riesce a sentirla. Una persona che non riesce a comunicare con nessuno e quindi, per gli ebrei, da evitare, associando la malattia fisica a quella morale. Gesù lo pone in disparte e ha cura di lui, parla con lui. Compie alcuni segni. Gli mette le dita negli orecchi, come facciamo oggi nel rito del battesimo con il gesto detto dell'Effatà, cioè apriti, torna a vivere. Il Signore offre a quest'uomo la possibilità di tornare a comunicare, ossia avere dei rapporti normali con la gente. Gesù vuole che la folla non dica nulla, ma tale comando è disatteso. La gente capisce che Gesù ha fatto bene ogni cosa, con chiaro riferimento al primo capitolo della Genesi in rapporto alla creazione. Questo testo non è un semplice brano di guarigione, ma appare già la nuova creazione, il nuovo esodo che Gesù è venuto a portare. Nasce l'uomo nuovo capace di comunicare con tutti. Il gesto, poi, avviene, lontano dalla folla, dal frastuono, poiché Dio agisce sempre nel segreto della nostra vita puntando ad un contatto personale con la gente. Il Cardinal Martini, da poco scomparso, fece nei primi anni ottanta un piano pastorale per la Diocesi ambrosiana, proprio incentrato su questo testo per affrontare il tema della comunicazione. Parlare di comunicazione, partendo da questo brano, ci richiama almeno tre aspetti. 1) Prima di ogni parola, ci deve essere l'ascolto. Di fatto il sordomuto non parla perché non riesce a capire. Ascoltare è la grande fatica di oggi, perché partiamo dalle nostre idee già precostituite e quindi ci limitiamo a sentire l'altro, non ad ascoltarlo! O viceversa si pongono delle domande nelle quali è già insita una risposta. Non si è disposti a cambiare, perché ormai abbiamo già incasellato la nostra vita e quella degli altri! 2) Oggi abbiamo potenti mezzi per comunicare, eppure non riusciamo a farlo specie con i nostri vicini. La vera comunicazione nasce dal silenzio. Ogni parlare umano è dire qualcosa a qualcuno, qualcosa che deve nascere da dentro. Molte volte si chiacchiera, non si parla. Non c'è bisogno di blaterare molte parole per comunicare ( personalmente sono contrario ai colloqui troppo lunghi!!), ma incidere nell'altro laddove si parla di un vissuto. Anche i tempi sono importanti. Senza troppa impazienza o troppa fretta. 3) Il nostro modello di comunicazione è Dio. Un Dio che non ha scelto la via della solitudine, ma della comunicazione. Un Dio che si rivela a noi nel silenzio, nella Parola, nell'incontro, che ci ama personalmente, ci chiama in disparte per renderci amici suoi. Da questo incontro nasce la pazienza del comunicare con gli altri, il desiderio di raccontare loro la mia fede. La bellezza di pormi in ascolto sincero dei problemi delle persone, perché davanti ai fatti della loro storia non rimangano mute e passive. Far ritrovare nella gente il gusto della parola profetica, capace di dire le cose come stanno, senza accettare assurdi compromessi. Effatà, Signore, apri il mio cuore, la mia bocca, per gridare al mondo l'Amore per Te! |