Omelia (16-09-2012) |
Gaetano Salvati |
Chi sono io? La domanda che Gesù rivolge ai discepoli: "ma voi, chi dite che io sia?" (Mc 8,29), è indirizzata agli uomini di ogni tempo, e richiede una risposta decisa. Non serve corrispondere con belle parole; è necessario, invece, fare un passo in più nella sequela. Si tratta di farsi modificare dalle risposte che diamo. Pietro ha risposto bene: "tu sei il Cristo" (v.29), ma, non ha voluto accettare lo scandalo della croce. L'apostolo non aveva compreso ancora chi era veramente Gesù: secondo la sua opinione Cristo non "doveva soffrire molto" (v.31); è il Messia glorioso, osannato dalla folla. A riguardo, va notato che san Marco riporta solamente l'affermazione "tu sei il Cristo", non aggiungendo "il Figlio di Dio"; questo per evidenziare che la fede nell'Eterno fatto storia deve progredire, maturare continuamente alla presenza del Maestro. Per questo motivo il Maestro riconduce Pietro dietro di sé: "và dietro di me" (v.33), significa rettificare la mente e aprire il cuore a pensare e, soprattutto, sentire secondo Dio. Più che un rimprovero Gesù invita a partecipare al Suo Mistero pasquale, al mistero della morte e della risurrezione: mistero che salva il mondo dal peccato, e accompagna l'esistenza verso la pienezza della vita divina. E noi? Come rispondiamo alla domanda posta dal Maestro: Chi sono per te? In realtà, per comprendere la bellezza della vocazione cristiana e, quindi, il senso del discepolato, bisogna modificare la questione: chi sono io? Vale a dire, riesco a percepire quello che il Signore chiede da me? Compio la sua volontà? Ancora, come faccio ad ascoltare la Verità se prima non so chi voglio seguire? Non è indispensabile giungere subito ad una risoluzione. Ciò che conta è aprire il cuore al Signore, lasciarsi modificare da Lui, infine, cosa più importante, aver conosciuto il senso profondo di ciò che siamo chiamati a realizzare: vivere Cristo. Solo ora è possibile, anche se il tragitto è lungo, ascoltare la parola di Gesù: "chi dite che io sia?", e dare la risposta; ciò perché sappiamo chi siamo, figli redenti dal Suo sangue, e cosa ha in progetto per noi: la salvezza. La domanda del Signore, quindi, non deve far aumentare i dubbi; caso mai, essa ci incoraggia a non rimanere nell'indifferenza, a farci aprire il cuore alla grazia. Ritorna, ora, l'invito del Maestro: "và dietro", cioè seguiamo Gesù di Nazaret, compiamo la Sua volontà nel cammino quotidiano, senza tentare di anticipare i prospetti di Dio, rischiando di rovinare il cammino di fede. Vivere Cristo, invece, è confidare nel Suo intervento e, come dice san Giacomo, testimoniare nel nostro agire il dono della fede (Gc 2,14). Aprirsi alla fede pasquale, alla luce che trasforma i cuori, però, non significa evitare le trappole che il normale esistere pone sulla strada, e neppure disfarsi di possibili fallimenti e sconfitte; significa mettersi in gioco, rischiare di (ri)cominciare a muoversi nella direzione tracciata per noi dal Salvatore. In questo itinerario, che comprende cadute, incognite, ognuno di noi è chiamato a sostenersi nella fede, a condividere con tutti i fratelli le gioie, le ansie dell'Amore che si consuma e si dona fino al sacrificio della croce; infine, a proclamare la speranza che vince la morte: siamo Chiesa, pellegrina nella storia, convocata per annunciare, insieme, la nostra risposta all'Amato. Amen. |