Omelia (16-09-2012) |
mons. Gianfranco Poma |
Ma voi, chi dite che io sia? Il brano del Vangelo di Marco che la Liturgia della domenica XXIV del tempo ordinario ci presenta (Mc.8,27-35), centrale nella struttura del Vangelo e di fondamentale importanza per il cammino della nostra fede, ci impegna ad una attenta, sincera, personale risposta alla domanda che Gesù, oggi, pone a noi: "La gente chi dice che io sia?... Ma voi, chi dite che io sia?". Purtroppo la Liturgia omette la lettura di Mc.8,1-26 (che è bene che ciascuno legga personalmente), che, in particolare nei vv.11-26, esprime con forza la convinzione che Gesù non sarà mai compreso ed accolto pienamente, mettendo in evidenza la presunzione di chi pensa di poterlo "possedere". Particolarmente significativo è il racconto, che si trova solo in Marco, della guarigione per tappe del cieco: è l'evento nel quale, simbolicamente, si sintetizza tutto quello che i discepoli hanno sperimentato fino a questo momento. L'uomo non ritrova immediatamente la vista: dopo il primo gesto di Gesù, ha solo una visione confusa; occorre un secondo intervento perché possa vedere chiaramente. Il brano che oggi leggiamo si trova proprio a questo punto: si conclude la prima fase dell'intervento di Gesù perché l'uomo veda (8,18: "Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? ...Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?..."), e si apre immediatamente la seconda (8,27: "E uscì Gesù e i suoi discepoli...") nella quale il Vangelo descrive ciò che Gesù deve fare perché i suoi discepoli vedano chiaramente, cioè deve soffrire, essere messo a morte e poi risorgere. Che cosa vuole Gesù che l'uomo, diventato suo discepolo, veda? Vuole che veda lui, veramente, fino in fondo, abbandonato, colpito, messo a morte e poi risuscitato. Vuole che veda l'Amore: vuole che veda Dio. Vuole che nei gesti che egli compie, veda i segni dell'amore con cui Dio è presente nella fragilità della carne dell'uomo. Vuole che l'uomo comprenda che la logica della presenza di Dio nel mondo non è la potenza, il potere, la legge, ma la fragilità onnipotente dell'Amore che condivide, com-patisce, conforta. E vuole che l'uomo, suo discepolo, condivida con lui, il Figlio che vive totalmente della volontà del Padre, una vita nella quale l'Amore del Padre continua a rendersi presente come unica forza che dà la vita al mondo. Per questo, Gesù, arrivato a metà del suo cammino, riprende il viaggio con i suoi discepoli. È meraviglioso il Vangelo: narra la vita di Gesù e nello stesso tempo è "simbolo" della nostra storia e della storia di ogni tempo. Gesù (il suo nome riappare qui dal cap.6,30) non si stanca di riprendere il cammino con i suoi discepoli che continuano a vedere le cose a modo loro e a non capire la belleza del mondo nuovo che egli vuole che essi comincino a vivere. Egli li ha scelti "perché stessero con lui e per mandarli a dare l'annuncio": ma "bisogna" che lo vedano e comprendano chi lui è. Tutta la prima parte del Vangelo è incentrata sul problema dell'identità di Gesù: ma i loro occhi continuano a non vedere. "E nella strada, Gesù interrogava i suoi discepoli". Tutto è per noi, discepoli di oggi: per la prima volta appare l'espressione "nella strada" applicata a Gesù e ai suoi discepoli e il verbo all'imperfetto, significa un'azione mai conclusa. Gesù, oggi, rimette in cammino noi, che rischiamo di essere discepoli stanchi, che non riescono a vedere con chiarezza, ci spinge sulle strade del nostro mondo e ci interroga. "La gente chi dice che io sia?" "Ed essi risposero - nota Marco -: Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei discepoli". Certo, la gente, oggi, alla nostra intervista in nome suo, non risponde negli stessi termini: di Giovanni il Battista e ancora di più di Elia o degli altri profeti non sa quasi nulla. Eppure, a ben guardare, la risposta della gente, oggi, è, nella sostanza, identica a quella del Vangelo: Gesù è un difensore dei valori etici (i valori "non negoziabili"), come Giovanni Battista; oppure Gesù è l'eroe integralista, che lotta contro gli avversari di Dio, come Elia ("il Signore è il mio Dio); oppure il coraggioso difensore dei diritti dei poveri (come Amos); o il raffinato politico credente (come Isaia), o il delicato testimone della inarrestabile decadenza del popolo (come Geremia) o un illuso eroe romantico di un tempo passato che oggi non può dire più nulla. Gesù a questo punto non fa nessun commento, lasciando aperta ogni interpretazione, e aggiunge: "Ma voi, chi dite che io sia?" "Pietro gli rispose: ‘Tu sei il Cristo'". Risposta secca, decisa, precisa. A noi, Gesù, oggi pone la domanda e noi, certo, con Pietro rispondiamo: "Tu sei il Cristo". Risposta teologicamente precisa. Gesù aveva scelto i Dodici perché "stessero con lui e per mandarli a portare l'annuncio". Adesso (tutto è precisamente nello stile di Marco, essenziale e spiazzante), "Gesù ordinò loro di non parlare di lui a nessuno". Adesso che abbiamo capito, definito con precisione...Gesù proibisce di parlare di lui. Ma Pietro, e noi, abbiamo davvero capito? Il "Messia", secondo le attese di quel tempo (anche il nostro!) è colui che viene come nuovo Davide, sovrano trionfante, con l'aiuto di Dio, liberatore di Israele dal giogo dei romani. Che Gesù non interpretasse la sua missione in questo senso, come potenza vittoriosa a favore di Israele, appare evidente dal nuovo "inizio" dell'insegnamento di Gesù e dalla reazione di Pietro che invece manifesta quanto egli (...e noi?) fosse ancora legato a quell'idea così logicamente umana del Messia. "E cominciò a insegnare: il Figlio dell'uomo deve soffrire ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere". E sottolinea Marco, in contrasto con la precedente proibizione di parlare di lui, "faceva questo discorso apertamente". La reazione di Pietro è significativa: "lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo", e suscita la dura reazione di Gesù che "rimproverò Pietro e gli disse: ‘Va' dietro a me, Satana, perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!". Sono di estremo interesse (e sono meravigliosi) questi "inizi" della Chiesa, sempre attuali: questa dialettica tra Gesù e Pietro, tra la radicalità e la novità evangelica e la storia, tra Pietro che vuole "difendere" Gesù e Gesù che chiama Pietro "Satana". Il titolo che Gesù si attribuisce è "Figlio dell'uomo". Egli "deve" fare la volontà del Padre che non è volontà di dominio, potere, vittoria del più forte sul più debole secondo logiche umane, imposizione di leggi che dall'esterno impongono comportamenti morali: "deve" soffrire ed essere rifiutato dai capi del popolo, dai capi religiosi e dagli interpreti della Scrittura. La volontà del Padre è sconvolgente novità, follia umana: è volontà di Amore, servizio, onnipotente debolezza che esplode nel momento della più grande "sconfitta", è forza che cambia i cuori interiormente, non con l'imposizione esteriore di leggi che non scalfiscono la durezza dei cuori. Gesù tratta Pietro come "Satana": per lui, il modo di pensare di Pietro, così normale per ogni uomo, è la "tentazione" per eccellenza e Marco, così discreto nel parlare delle tentazioni dopo il Battesimo, adesso ne parla con chiarezza narrando questo duro confronto con Pietro. Satana è incrostato nella nostra logica umana, in noi, in Pietro, nella Chiesa, nella aspirazione che noi condividiamo con tutta l'umanità, al dominio, ad ogni forma di potere anche finalizzato al bene: tutto questo contrasta la novità di Gesù che è solo Amore che si dona per fare nuovo il mondo. Solo l'Amore salva il mondo. Pietro deve ancora rimettersi in cammino, convertirsi per arrivare là dove lo precede uno sconosciuto centurione pagano che "stando di fronte alla croce, vedendolo morire in quel modo, disse: ‘Veramente quest'uomo era figlio di Dio' " (Mc.15,39). E noi, con Pietro tornato dietro Gesù, ci incamminiamo con lo sguardo fisso su di lui, ascoltando la sua parola che ci dice: "Se qualcuno vuol venire dietro a me... prenda la sua croce e mi segua". |