Omelia (18-09-2012)
Riccardo Ripoli
Non piangere

Non c'è bisogno di versare lacrime per piangere. Il nostro cuore spesso si gonfia di dolore ed anche se il viso non è solcato da piccole gocce, la nostra anima piange. Quelle lacrime silenziose, invisibili non passano inosservate agli occhi di Dio. Il Signore non ha bisogno di tante parole, legge la nostra sofferenza dentro di noi e ci viene a consolare, aiutare, guarire, resuscitare. Si, resuscitare, quando la nostra vita va a rotoli, quando non sappiamo più dove sbattere la testa, quando abbiamo avuto un giornata pesante e non abbiamo sentito l'appoggio o l'aiuto di nessuno Egli ci dona la carica per andare avanti, per affrontare un nuovo giorno, per continuare a lottare nei valori e nei principi in cui si crede.
La preghiera più bella è quella silenziosa, fatta del dolore composto di una mamma che piange il proprio figlio, del bambino nelle favelas che cerca qualcosa da mangiare tra la spazzatura per sopravvivere fino al mattino dopo, del clandestino che affronta mille pericoli nella speranza di un nuova vita per sé e per la sua famiglia. Pregare Dio non significa urlare, pretendere, imporre che una cosa sia come vorremmo e magari come dovrebbe essere. Abituiamoci anche noi a non gridare la nostra rabbia, a educare il nostro prossimo con l'amore della parola, la dolcezza di un sorriso, l'esempio della Fede nella convinzione che dove non possiamo arrivare noi ci penserà Cristo. Ricordiamoci che non siamo onnipotenti e non possiamo risolvere tutti i problemi di questa terra o della nostra famiglia, affidiamoci a Gesù e lasciamo che operi al posto nostro. Non c'è mai una situazione troppo difficile o sulla quale sia inutile intervenire, ma siamo consapevoli che si incontrano spesso muri così alti che ci prende la rabbia e la disperazione perché non sappiamo come affrontarli. Se abbiamo Fede dobbiamo solo aver pazienza, usare ancora più amore e dolcezza nei confronti del nostro prossimo, ed il Signore, quando lo riterrà opportuno farà il resto.
Con i ragazzi che ho in affidamento mi trovo spesso in situazioni dinanzi alle quali non ho una soluzione, non so come agire, non so cosa dire o fare. A volte adottano comportamenti che ripetono nel tempo che non mi spiego. Il primo impulso sarebbe quello di arrabbiarmi, poi provo a capire le cause e spesso non ci riesco. Il dolore, la privazione dei loro affetti, l'abbandono sono aspetti che hanno segnato fin nel profondo il loro essere e spesso agiscono in maniera che nemmeno loro sanno spiegarsi, vanno in direzioni completamente opposte quei valori che ostinatamente facciamo di tutto per insegnare loro. Perché? Abbiamo fallito noi? Non credo, altrimenti non si spiegherebbe come mai alcuni di loro recepiscano e mettano in pratica ciò che venga loro proposto come regola di vita, ed altri no. Il problema è radicato, contorto come i rovi del bosco dentro i loro cuori e dipanare simili matasse non è facile, certo non ci riusciremo mai con la forza, la cattiveria, la violenza. Ma a volte non basta nemmeno tutto l'amore possibile e non dobbiamo farcene un cruccio, anche se personalmente ci soffro terribilmente, perché la situazione è più grande di noi.
Come potrebbe una mamma resuscitare il proprio figlio, e figuriamoci se non farebbe di tutto per poterlo riavere in vita, finanche dare la propria per lui.
A cosa serve disperarsi, urlare, imprecare, picchiare qualcuno per rabbia? Serve solo a dare un cattivo esempio. La Fede è ben altra cosa. E' amorevole attesa nella convinzione che tutto è nelle Mani di Dio e sarà Lui a risolvere la situazione come e quando lo riterrà opportuno. L'amore di una mamma che con grande dolore vede fare al proprio figlio cose non giuste come il rubare, non studiare, ribellarsi e pazientemente gli sta vicino, cammina accanto a lui come si cammina accanto alla bara, ma con la speranza della resurrezione che avverrà quando Gesù vorrà. Tanto la resurrezione dell'anima dopo la vita terrena, quanto la resurrezione nel seguire la retta via.
Non perdo mai fiducia nei miei ragazzi e sono sempre loro vicino anche, e sopratutto, quando sbagliano, anche se questo dovesse accadere mille volte al giorno.