Omelia (23-09-2012)
Riccardo Ripoli
Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me

In questo passo del Vangelo c'è l'inno all'affido.
Se qualche volta ci sentiamo scoraggiati, lasciati soli dagli amici, abbandonati dalle istituzioni, pensierosi per le lotte da affrontare ricordiamoci le parole di Gesù.
Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato.
Accogliere un bambino, accudirlo, abbracciarlo sull'esempio di Gesù significa pregare, significa amare Dio, significa dare credito alle parole del Signore.

Ma questo insegnamento arriva non a caso dopo un altro baluardo della dottrina donataci da Gesù
Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti
L'umiltà. Se riuscissimo a mettere insieme umiltà e accoglienza di un bambino sarebbe magnifico.
Umiltà nell'accoglienza. Di solito chi entra in casa nostra la prima volta ha sempre un po' di soggezione perché varca la soglia di un ambiente che non è il suo, è ospite. Pensiamo a come deve sentirsi un bambino che viene tolto dalle braccia della sua mamma, per quanto giusto sia, portato da persone che rappresentano le istituzioni, di cui molto spesso ha sentito parlare male in famiglia, in una casa da gente mai vista né conosciuta che ti accoglie con grandi sorrisi e sguardo scrutatore.
Penso che quel primo momento sia per il bambino uno dei più difficili della sua vita.
I minuti immediatamente dopo quell'ingresso, le ore, i giorni che passano devono essere di massima apertura ed accoglienza. Ma cosa significa?
Significa mettersi al servizio del bambino, con umiltà, con la gioia di servire perché in questa nostra casa quel giorno è entrato Dio a vivere con noi.
Servire con umiltà non significa certamente prostrarsi ai suoi desideri e alle sue bizze, ma sicuramente essere pronti a perdonare, fermi nel dettare regole, ma usando la dolcezza di chi si senta piccolo piccolo dinanzi a quel bambino che rappresenta Dio nella nostra famiglia.