Omelia (23-09-2012) |
mons. Gianfranco Poma |
Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti Nella domenica XXV del tempo ordinario, omettendo Mc.8,25-9,29, leggiamo il brano di Mc.9,30-37: l'evangelista che ha costruito il suo Vangelo in modo tanto accurato, potrebbe a buon diritto protestare con i liturgisti che, con i loro tagli, sconvolgono il suo testo. La Liturgia congiunge questo brano con quello che leggevamo domenica scorsa come se non fossero separati da alcuni avvenimenti importanti per il cammino che i discepoli stanno compiendo ed illuminanti per la comprensione dell'identità di Gesù: la Trasfigurazione, nella quale, all'inizio della seconda parte del Vangelo (in parallelo al Battesimo di Gesù, all'inzio della prima parte) dal cielo viene di nuovo la Voce che proclama l'identità di Gesù (Mc.9,2-10); una discussione su Elia, identificato con Giovanni il Battista, venuto e ucciso, nella quale, probabilmente, si riflette la discussione della Chiesa primitiva sulla relazione tra il Battista e Gesù (Mc.9,11-13); e alla fine, la guarigione di un giovane epilettico posseduto da un demonio che i discepoli non riescono a scacciare per la debolezza della loro fede (Mc.9,14-20). Arriviamo così al nostro brano, bellissimo se ne sappiamo gustare i particolari, importante per la nostra formazione e di estrema attualità. Anzitutto, la predizione della passione è come un ritornello che ritma il cammino di Gesù e dei suoi discepoli verso Gerusalemme: l'identità di Gesù si precisa sempre più profondamente e allo stesso tempo l'identità dei discepoli assume i suoi contorni definiti. La pedagogia di Gesù non è fatta di sole parole ma consiste nell'introdurre i discepoli nella propria esperienza precisa. Per un'ultima volta Gesù e i suoi discepoli tornano in Galilea, ma in segreto: il periodo del ministero pubblico è terminato. Ormai tutto è concentrato sull'insegnamento rivolto ai discepoli, un insegnamento chiaro, preciso: "Il Figlio dell'uomo è consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà". Rispetto al precedente annuncio della passione (Mc.8,31), qui si dice che il Figlio dell'uomo è consegnato "nelle mani degli uomini": tutta l'umanità ormai è coinvolta, non solo il popolo ebraico o i suoi capi. Ogni uomo, ciascuno di noi, può accogliere nelle proprie mani il Figlio dell'uomo. Continua la rivelazione dell'identità di Gesù: egli è consegnato (dal Padre) nelle mani degli uomini, egli è l'Amore indifeso, sguarnito di ogni splendore, messo nelle mani degli uomini. Che cosa ne faranno gli uomini? "Lo uccideranno": l'Amore non si difende, si dona fino alla fine. "Ma dopo tre giorni risorgerà": l'Amore è la vittoria di Dio, morendo risorge. L'insegnamento di Gesù è chiaro, preciso, eppure... "essi non capivano e avevano timore di interrogarlo": l'imperfetto usato in questa frase significa che l'evangelista non fa riferimento solo alla reazione dei discepoli in quel momento, ma ad un atteggiamento che continua. "Essi non capivano", ma perché? Forse si rifiutavano di capire quello che Gesù insegnava ormai chiaramente. Oppure l'insegnamento così chiaro nelle parole è così sconvolgente che rimane incomprensibile per la logica umana. E nel corso dei secoli, e noi oggi comprendiamo l'insegnamento di Gesù? Gesù continua ad essere il Figlio dell'uomo che il Padre mette nelle nostre mani, e noi? Noi continuiamo a non capire la logica dell'Amore, ad averne anzi paura. Dovremmo avere il coraggio, nei momenti nei quali "capire l'Amore" può diventare persino drammatico, di interrogarlo: ma perché il dramma della Ctoce? Perché i drammi della vita, della storia? Perché l'Amore fragile? E' la preghiera: eppure i discepoli (e noi) preferivano non interrogarlo. "Giunsero a Cafarnao e quando egli fu nella casa, li interrogava: ‘Di che cosa ragionavate per via?'" Ancora un versetto intenso e significativo: di fronte alla incomprensione dei discepoli e al loro silenzio impaurito, Gesù prende l'iniziativa e li interroga, facendoli uscire dalla nicchia in cui si stavano rinchiudendo, interpretando a modo loro il significato dello "stare con Gesù". In realtà l'insegnamento che Gesù sta dando ai discepoli ha un forte contenuto ecclesiale: in trasparenza appaiono tutti i problemi che la comunità cristiana deve affrontare. In questo v.33 sono presenti tre spazi dal forte valore simbolico, Cafarnao, la via, la casa: "Cafarnao", in Galilea, è il simbolo degli inizi dell'azione di Gesù; la "via" è il primo nome con cui viene indicata la sequela dietro a lui; "la casa" è il luogo simbolico dell'intimità con lui. Si va delineando così la struttura grande della Chiesa di Gesù. "Di che cosa ragionavate per via?" Si tratta di una domanda diretta, intrigante, di attualità perenne, che Gesù pone ai suoi discepoli di sempre: nella casa, dove è gustata l'intimità con lui, Gesù li invita a mettere a nudo i loro pensieri, le loro preoccupazioni, i loro progetti. "Essi tacevano. Infatti avevano discusso tra loro per via: ‘Chi è il più grande?'". Nel loro tacere anche di fronte alla domanda esplicita di Gesù c'è la chiara percezione della incoerenza o della lontananza tra ciò che preoccupa loro e il pensiero di Gesù, della distanza tra il loro progetto e quello di Gesù. "E sedutosi, chiamò i Dodici..." Gesù si siede, maestro paziente che chiama di nuovo i Dodici, riprendendo l'insegnamento: "Se qualcuno vuole essere primo, sia ultimo di tutti e servo di tutti". L'annuncio della passione e della sorte che attende il Figlio dell'uomo, per i discepoli di Gesù, è la premessa logica per un capolgimento paradossale delle aspirazioni ad occupare i posti più alti possibili, comuni in ogni ambito della vita sociale umana. "Se qualcuno vuole essere primo sia ultimo": la "via" da percorrere rimane ancora lunga. E Gesù compie un gesto meraviglioso, spiegandone il senso: è un gesto simbolico, che rivela la sua identità, a cui corrisponde l'identità del discepolo. "E prendendo un bambino, lo pose in mezzo a loro e stringendolo tra le braccia, disse a loro..." Ogni parola, qui, è significativa: è Gesù che prende un bambino, uno che è in condizioni di dipendenza, anonimo, come uno schiavo, una figura di servo. Gesù continua a capovolgere completamente la scala di valori normale per la mentalità umana: prende un bambino e "lo mette in mezzo". Lui mette "in mezzo" alla sua comunità un bambino che lui abbraccia, per diventare una cosa sola con lui: Gesù stringendo tra le sue braccia il bambino, con il suo amore si fa piccolo. L'Amore si fa piccolo: continua la "via" di Dio che si incarna, si fa piccolo, si fa bambino. Ma l'Amore che si fa "ultimo", "piccolo", diventa grande. L'Amore che si fa debole, diventa forte. "Chiunque accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me. E chiunque mi accoglie, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato": certo, dobbiamo continuamente cercare di comprendere che cosa significhi "accogliere uno di questi bambini nel mio nome", ma è meraviglioso sapere che Dio lo accogliamo quando accogliamo un bambino, e "nel suo nome" lo mettiamo "in mezzo" a noi, e mentre noi accogliamo lui, in realtà è Lui che ci stringe nelle sue braccia e ci dona l'infinito del suo Amore. |