Omelia (23-09-2012) |
Monastero Domenicano Matris Domini |
Commento su Marco 9, 30-37 Collocazione del brano all'interno del Vangelo di Marco Questo brano si colloca dopo la trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor e dopo che Gesù stesso, sceso dal monte aveva guarito un bambino posseduto da uno spirito muto. Il padre del bambino si era rivolto ai discepoli ma loro non erano riusciti a liberarlo. Dopo questo miracolo il gruppo si rimette in viaggio verso nord, verso Cafarnao, attraversando la Galilea. Gesù non vuole che alcuno lo sappia perché ormai sta per partire verso Gerusalemme dove incontrerà la morte e deve preparare i suoi discepoli a questo evento sconvolgente. Egli dice loro una seconda volta che avrebbe dovuto essere consegnato nelle mani degli uomini e il suo destino sarebbe stato la morte e la risurrezione. I discepoli però non capiscono le parole di Gesù. Tanto è vero che giunti a Cafarnao devono confessare al loro maestro che durante la strada avevano discusso tra di loro su chi fosse il più grande. Gesù dona loro un nuovo insegnamento, il più grande è colui che serve e la misura del regno di Dio è l'accoglienza dei piccoli. Il vangelo di Marco continuerà poi con altri insegnamenti che vedremo domenica prossima. Il brano di questa domenica si suddivide in due parti: la prima riguardante il secondo annuncio della passione è contenuta nei versetti 9,30-32; la seconda riguardante chi sia il più grande, è nei versetti 9,33-37 Lectio 30Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Lasciato il monte Tabor Gesù e i suoi discepoli tornano a nord, in Galilea, il teatro della predicazione di Gesù. Però ormai la sua predicazione a tutto il popolo è finita. Egli si sta preparando ad andare a Gerusalemme, quindi vuole che nessuno sappia del suo passaggio nella regione. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Gesù infatti vuole dedicarsi ora soprattutto alla formazione dei suoi discepoli, approfittando del fatto che essi sono soli lungo la strada. C'è un avvenimento molto importante che sa per accadere ed essi devono essere preparati a viverlo. In questo versetto Gesù ripete l'annuncio della passione che aveva già dato in Marco 8,31. Le parole che Gesù usa sono riprese dalle profezie di Isaia riguardanti il Servo Sofferente. La frase è piuttosto enigmatica. "Figlio dell'uomo" è il termine con cui Gesù ama indicare se stesso nei Vangeli e si rifà a un uomo misterioso mandato da Dio in cui si parla in Daniele 7,13; il verbo è al passivo e viene comunemente inteso come un azione compiuta da Dio: è Dio stesso che consegna il Figlio dell'uomo in mano agli uomini. Questi uomini non sono più i pagani ai quali Dio in antico aveva consegnato il popolo ribelle, ma sono lo stesso popolo di Dio che non ha saputo riconoscere il suo Inviato. La situazione ha però una via di uscita: vi è l'annuncio della risurrezione. 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Qualche studioso pensa che i discepoli avessero paura di approfondire l'argomento. Altri invece, forse in modo più verosimile pensano che, come già Pietro nel capitolo precedente (8,32: lo abbiamo visto domenica scorsa), rifiutino di comprendere e fare propria la logica dell'agire di Gesù. Quindi non affrontano nemmeno il problema. Sullo sfondo di queste parole potrebbe esserci la comunità di Marco che non riusciva ad accettare la via della croce percorsa dal Figlio dell'uomo. 33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Comincia qui il secondo episodio del brano di Vangelo di oggi. Il ricordare la casa di Cafarnao sottolinea ancora di più l'atmosfera di insegnamento intensivo di Gesù nei confronti dei suoi discepoli. La casa in cui a Cafarnao Gesù era solito sostare era quella di Pietro, quindi è possibile si tratti proprio di questa. In tal modo si accentua ancora di più l'intimità del gruppo in questo momento così delicato. Come si vede dal seguito del brano però i discepoli non sembrano ancora essersi resi conto della situazione e si perdono su questioni di tutt'altro genere. Essi infatti durante la strada, dopo l'insegnamento di Gesù si erano dedicati a una discussione molto accesa, di cui il Maestro, forse camminando un poco discosto, non aveva inteso l'argomento. 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. La ripetizione delle parole "per la strada" sono importanti. Gesù sta percorrendo la strada che lo porta alla croce e i discepoli per quella stessa strada sembrano non capire. Difatti tacciono perché sanno che quello di cui hanno discusso è lontano dalla logica di Gesù e dall'annuncio della passione che egli aveva fatto loro poco prima. I Dodici infatti si erano persi a questionare su chi di loro fosse il più grande. La teologia rabbinica aveva suddiviso in sette classi gli abitanti del paradiso e discuteva su chi sarebbe entrato nella classe pià alta. Anche a Qumran si era elaborata una sorta di gerarchia nella vita dell'aldilà. In Marco 10,37 i figli di Zebedeo chiederanno a Gesù di occupare i posti più importanti nel regno dei cieli. La lite dei Dodici poteva riguardare queste gerarchie della vita dopo la morte o più semplicemente la preminenza all'interno del gruppo. Tali discussioni potevano essere vive anche nella comunità di Marco. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». L'atto di sedersi e di chiamare i Dodici sembra fuori luogo, poiché il gruppo si trova già raccolto in casa. Marco vuole forse sottolineare la solennità del momento e l'atteggiamento di Gesù come vero maestro. La frase che Gesù pronuncia si trova in diversi luoghi del Vangelo con sfumature diverse. Ciò che conta è sottolineare la contrapposizione primo-ultimo di tutti e l'accostamento del servitore, che non richiama soltanto il servizio a tavola. Gesù stesso ha applicato a se stesso questa frase, è stato l'ultimo e si è messo a servizio di tutti. L'appellativo servus servorum Dei, con cui il Papa si definisce, trova qui la sua origine. 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: Il gesto di Gesù è altamente provocatorio. Ai suoi tempi i bambini non godevano di alcuna stima e considerazione, erano considerati degli esseri imperfetti, che avevano tutto da imparare. Abbracciando il bambino Gesù esprime accoglienza e considerazione nei confronti del piccolo. E' pure un gesto che esprime salvezza. 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Gesù dunque dopo aver ricordato che il più grande è l'ultimo e il servo di tutti, si identifica nei bambini, un'altra categoria che veniva scarsamente considerata. I bambini vanno accolti nel "suo nome", vanno accolti come Lui stesso. Ma Gesù a sua volta è stato inviato, e parla a nome di Qualcun altro. Meditatio - Qual è la mia reazione di fronte alla croce di Gesù? Penso anche io che per la salvezza degli uomini egli avrebbe potuto trovare una strada meno dolorosa e più efficace? - Mi capita talvolta di chiedermi se sono più grande o più piccolo degli altri nell'ambiente in cui mi trovo a vivere e ad operare? - Ho mai sperimentato (in me o in altri) la grandezza di chi si fa ultimo e servo di tutti? - Perché Gesù ha espresso la sua predilezione per i bambini e per i piccoli in genere? Orazione (Colletta della XXV domenica del tempo ordinario, anno B) O Dio, Padre di tutti gli uomini, tu vuoi che gli ultimi siano i primi e fai di un fanciullo la misura del tuo regno; donaci la sapienza che viene dall'alto, perché accogliamo la parola del tuo Figlio e comprendiamo che davanti a te il più grande è colui che serve. Per il nostro Signore... |