Omelia (23-09-2012) |
don Roberto Rossi |
Imparare ad amare e a servire Emerge un problema antico quanto il mondo. I discepoli che vivevano con Gesù prima della sua pasqua, si sentivano comunità e come ogni comunità, di allora e di oggi, non poteva evitare il problema su chi doveva presiedere, comandare. Certo, Gesù è il primo, ma dopo Gesù - anche in senso temporale - chi è il più grande? Di questo discutevano i discepoli, ma non con Gesù e tanto meno nella sua luce. Perciò, quando Gesù chiese loro di che cosa stessero parlando durante il cammino, non risposero. Ma essi tacevano, dice il testo. Sapevano di non essere sulla stessa lunghezza d'onda di Gesù. Eppure anche di ciò Gesù vuole parlare e mentre lo discute con i suoi discepoli, noi sentiamo che parla di sé, delle sue scelte personali e, a poco a poco, comprendiamo quale senso egli dà alla sua passione: è un servizio, un donare la vita per gli altri. Esplicitamente lo dirà più tardi e ne preciserà il senso, ma già fin d'ora lo si intravede. Egli non impone nulla che non abbia vissuto per primo. L'immagine di Gesù, che siede e chiama i Dodici attorno a sé, è solenne. Essa esprime la coscienza che Gesù ha di essere «il Maestro» della sua comunità. Come pure lo esprime quanto insegna: «Se qualcuno vuoi essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti». Primo uguale a ultimo, è il capovolgimento dei valori; purtroppo non ancora assimilato nei fatti neppure oggi dalla sua comunità, a parole fin troppo. Primo uguale a servo, Gesù vuole insegnare ad accorgersi degli altri, a cercare l'incontro, a farsi prossimo. Il comportamento di un discepolo non può mai essere orientato su se stesso. Il «rinneghi, dimentichi se stesso» è un imperativo. Tutto dev'essere orientato al bene dell'altro. Il «servizio» diventa così l'unico criterio per la vera grandezza, per la vera dignità. Non c'è nessun'altra attività umana, in qualunque campo, che possa portare a una posizione più alta. Chi serve più di tutti è il primo in senso assoluto. E lo è soprattutto quando si servono i piccoli. Com'erano considerati allora i bambini? Quale contrasto tra Gesù che prende un bambino e lo abbraccia e la società del tempo. Questo dato caratteristico di Gesù ha stupito i suoi discepoli e urtato i suoi contemporanei. Il bambino non aveva il suo posto in quella società, non contava, era qualcosa di insignificante, lo si poteva trascurare; non aveva il diritto di farsi sentire e di fronte alla Legge, non aveva meriti. Gesù, accogliendolo, ci rivela qualcosa di Dio. La bella notizia è che il Regno di Dio è dato gratuitamente a chi è trascurato, senza far conto dei suoi meriti. E l'insegnamento che nasce dall'atteggiamento e dalla parola di Gesù al riguardo è importante: Gesù si identifica con i piccoli. Dice infatti: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me». E poi aggiunge: «E chi accoglie me... accoglie colui che mi ha mandato». Il cammino verso Dio passa attraverso il servizio e l'accoglienza degli altri, attraverso il dono di sé. E' così che Gesù sta camminando verso il Padre, realizza il suo amore a tutti gli uomini; è così che insegna anche a noi. |