Omelia (23-09-2012)
Gaetano Salvati
Primo o ultimo non importa

Oggi la sorgente della Scrittura consegna ai credenti un messaggio luminoso: chi, per pura concessione dell'Alto, decide di seguire il Signore, non deve più percorrere la strada dell'ozio spirituale, ma combattere contro tutto ciò che dentro di noi si oppone alla logica della Parola e il cui nucleo, come indicato da san Giacomo (Gc 4,3), sono le passioni che "fanno guerra" nel cuore dell'uomo. Gesù, nel vangelo, ci indica il cammino per sconfiggere questa guerra, la causa del muro che impedisce una relazione duratura con Lui. Innanzitutto, Egli afferma che "viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno" (Mc 9,31). Un simile discorso richiama certamente l'annuncio della sua passione e morte: nel suo sangue si compie l'unione del mondo divino con quello umano. Tuttavia, il Maestro rivela pure la volontà di Dio di rimanere sempre a disposizione dell'uomo. San Marco, effettivamente, non coniuga il verbo "venire" al passato, bensì al presente ("viene"), proprio per ribadire che Dio, in Gesù di Nazaret, è vicino, impegnato, nelle vicende del mondo; ancora, è sempre sollecito a risanare i cuori afflitti dalle ansie quotidiane, a mostrare ai peccatori che la storia non ha un destino oscuro, avvolto nelle maglie del dolore e dell'ignoto: è riscritta nel Suo nome; ora ha una speranza, la dimora eterna per tutti. Però, come i discepoli (v.32), anche noi, a volte, necessitiamo di una testimonianza concreta, tale da non farci rimanere nel dubbio della scelta, oppure nel pericolo di sviare i pensieri verso argomenti estranei al cristianesimo. Meditando la Parola, infatti, ci accorgiamo che Gesù viene incontro ai nostri discorsi approssimativi (v.33), e con la Sua presenza, la Sua parola, ristabilisce la verità, ci proclama la salvezza. Il Signore Gesù, allora, non richiama l'uomo unicamente per destarlo dal sonno del peccato: la manifestazione del suo cammino verso il Calvario, cui ogni uomo, liberamente, può accodarsi per ricevere la vera vita, disvela pure il codice che regola la nostra vita di fede. San Marco, a riguardo, racconta che Egli prese un bambino e "lo pose in mezzo a loro" (v.36). E disse: "chi accoglie uno solo di questi nel mio nome, accoglie me" (v.37). Il bambino rappresenta la mitezza dell'Eterno, la sollecitudine accennata in principio; mentre l'accoglienza dettata dal Signore ai discepoli, diviene appello per ciascuno di noi ad imitarLo, a vivere secondo la dolcezza e la purezza di un bambino. Un episodio viene in nostro aiuto. Si narra che Gesù abbraccia il bambino (v.36): ciò dimostra che il cristianesimo è relazione, risposta della creatura al dialogo intrapreso dal Dio personale; però, è altresì relazione con tutti i fratelli. Vivere Cristo, accoglierLo, significa, dunque, non privare i fratelli della nostra disponibilità all'ascolto, all'aiuto. A questo punto si coglie il colloquio di Gesù con i discepoli: "se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo e il servitore di tutti" (v.35). Il Maestro dice che per servirLo, non bisogna sentirsi superiore agli altri solo perché nella comunità credente si occupa un posto di rilievo; ne tantomeno dice di vivere privi di stima: "il servitore di tutti", il discepolo che cammina dietro il Maestro, è colui che, nelle difficoltà delle responsabilità e nelle gioie di una vita spesa per il Suo nome, nelle prove dell'esistenza, trova quell'ambito (la relazione), primo o secondo non importa, in cui gioca la sua identità e dignità di figlio di Dio. Amen.