Omelia (30-09-2012) |
don Alberto Brignoli |
Non abbiamo l'esclusiva su Dio Da alcune domeniche, i vangeli ci presentano la "logica" di Dio. E viene quasi da dire che si tratta di una logica "illogica"... Prima la logica della croce, per la quale Dio Onnipotente si manifesta in tutto ciò che è debolezza, sofferenza e morte; poi la logica del servizio, per la quale chi vuole essere il primo deve necessariamente mettersi all'ultimo posto prima di esercitare qualsiasi tipo di autorità. Anche nella Liturgia della Parola di quest'oggi la logica di Dio si discosta dalla logica degli uomini, ma questa volta possiamo proprio dire "per fortuna". Sì, perché la logica del "monopolio" e dell'"esclusiva" finalizzata al raggiungimento dei propri obiettivi è una logica puramente umana, e in modo particolare di quella parte dell'umanità, piccola ma potente, che va sotto la categoria dei ricchi. Ma fortunatamente per noi, questa non è la logica di Dio. Le cose di Dio, e in particolare i doni del suo Spirito, non sono monopolio ed esclusiva di nessuno, ancor meno di chi è ricco. E non mi riferisco solo alla categoria dei ricchi di beni materiali a cui, in maniera piuttosto brutale ma sicuramente efficace, si rivolge l'apostolo Giacomo nella seconda lettura di oggi. Mi riferisco a quella ricchezza, a quel "sentirsi ed essere ricchi" in faccia a Dio e alla faccia degli uomini che la Liturgia della Parola di oggi ci presenta in una maniera abbastanza variegata. Nelle tre letture, infatti, pur così diverse tra loro, è facile leggervi un messaggio comune: chi pensa di essere talmente "ricco dentro" (cioè pieno di sé) da poter sottomettere a sé Dio e gli uomini, sappia che forse ci può riuscire - sia pur disonestamente, il più delle volte - con i propri simili, ma con Dio questa è una partita persa sin dal principio. Perché Dio è capace di mettere il suo Spirito e lo spirito delle sue cose nel cuore di chi vuole lui, e non nel cuore chi pensa di poter avere l'esclusiva anche su Dio. Dio arriva addirittura a togliere "parte dello Spirito che era su Mosè" e a distribuirlo sopra i settanta anziani che lo accompagnavano nel governo del popolo del deserto. Di fronte a ciò, l'uomo di fede, come Mosè, accetta il piano di Dio e si augura, senza gelosie, che questo piano si compia sempre di più, e che lo Spirito del Signore possa rendere profeti tutti quanti nel popolo. L'uomo ricco solo di sé, come il Giosuè della prima lettura di oggi, rimane sdegnato ed è "geloso" per questo atteggiamento di Dio. Non è certo l'atteggiamento di Dio a far problema. È l'atteggiamento dell'uomo ricco e pieno di sé che non funziona. Ed è un atteggiamento tra noi molto più diffuso di quanto si possa pensare. Soprattutto tra noi che ci diciamo credenti. Quante volte anche noi, come Giosuè, rivendichiamo con orgoglio di fronte a Dio di voler essere gli unici depositari della fede, gli unici a parlare di Dio con esattezza e verità, gli unici ad individuare i cammini e le strade giuste per arrivare a Dio, di fronte invece a un mondo da noi ritenuto confusionario, pluralista, o addirittura privo di Dio e della sua sapienza? E abbiamo la pretesa di rivendicare questo sulla scorta della nostra vecchia amicizia con Dio, che serviamo e veneriamo "fin dalla nostra adolescienza", e che per questo motivo deve avere per noi (secondo il nostro modo di vedere le cose) un occhio di riguardo in più. Altrimenti rischia di diventare un Dio poco serio e poco credibile, proprio perché dà spazio e pari opportunità a tutti. Oppure, quante volte basiamo la nostra fortuna e la nostra felicità sull'affannosa e a volte addirittura spasmodica ricerca del benessere economico, convinti che "senza i soldi non puoi fare nulla, mentre se hai i soldi puoi fare tutto"? Non è una novità che la Bibbia, i profeti in particolare, sia quelli dell'Antico Testamento sia quelli del Nuovo come l'apostolo Giacomo, si scagli in maniera forte e feroce contro uno dei peggiori peccati in cui l'uomo credente può incorrere nei confronti di Dio, ovvero l'idolatria del denaro, con la quale crediamo che ci sia qualcosa di più potente della sua onnipotenza. Un peccato tra i più abietti, perché ha la pretesa di monopolizzare Dio, di assoggettarlo alle proprie capacità, soprattutto economiche, convinto che come si comprano le cose degli uomini così si possono comprare pure le cose di Dio. E ancora: quante volte nel nostro vivere la fede assumiamo atteggiamenti di superiorità, di sufficienza, e ci permettiamo di monopolizzare le cose di Dio interpretandole a nostro piacimento, e soprattutto sbattendole in faccia agli altri, soprattutto ai più piccoli, a coloro che fanno fatica a vivere con coerenza la loro fede, facendoli quindi sentire ancor più "nullità" di ciò che già si sentono? Quante volte ci sentiamo talmente familiari con le cose di Dio da assumere atteggiamenti così liberi che rivoltiamo a nostro favore ciò che il Vangelo ci invita a vivere, tirando l'acqua al nostro mulino solo per giustificare i nostri biechi comportamenti? C'è tanta incredulità e tanta immoralità, nel mondo. E questo scandalizza. Ma sono convinto che chi fa fatica a vivere una vita di fede è scandalizzato più dagli atteggiamenti di "sufficienza" e di "superiorità" di certi cristiani che non dai comportamenti poco esemplari di chi si definisce non credente. Certo, tra i cristiani ci sono stati e continuano ad esserci scandali legati a comportamenti che definire immorali è un eufemismo; e questo allontana ulteriormente dalla Chiesa chi già è scettico nei suoi confronti. Ma senza dubbio, una fede e una morale vissute magari in maniera integerrima, ma con senso di disprezzo e di superiorità nei confronti di tutti, allontanano di più dall'incontro con Dio che non una fedeltà a Dio zoppicante, fatta di continui sbagli e di riprese, di incoerenze e di tentativi di riscossa, e che nonostante ciò manifesta un cuore genuinamente attaccato a Dio perché rispettoso del cammino di fede dei più piccoli. I piccoli non ci chiedono di essere irreprensibili (sanno bene che non lo siamo...), ma semplicemente di essere onesti e misericordiosi nei loro confronti. E Gesù ci invita ad essere "radicali", nel "tagliare", nello "smetterla" con questi atteggiamenti che allontanano i più piccoli da Dio. L'immagine della mano, del piede e dell'occhio che vanno "tagliati e cavati" dal corpo è l'invito - per noi che ci diciamo cristiani coerenti - a prendere coscienza che le nostre opere (le mani), i nostri cammini (i piedi) e i nostri sguardi giudicanti sulle persone e sulla realtà (gli occhi) non possono mai permettersi di creare difficoltà, senso di inferiorità, senso di nullità, "scandalo" (per dirla con il Vangelo) in coloro che noi riteniamo non abbiano voce in capitolo perché diversi, perché incoerenti, perché senza fede, perché immorali...quando in realtà sono solamente dei "poveri", dei "piccoli", che non pretendono da noi se non una testimonianza di carità. Non ci chiedono nulla, i piccoli, se non di fare quello che spesso loro, senza accorgersi, fanno con noi: dar loro un bicchiere d'acqua per spegnere la loro sete delle cose di Dio. E non guardiamo con timore a chi parla di Dio così come facciamo anche noi, ma in modo diverso dal nostro; di chi vive una fede come noi, ma diversa dalla nostra; di chi ama Dio e i fratelli come noi ma diversamente da noi. Perché lo Spirito di Dio, quando parla di Dio, non farà mai del male a nessuno. |