Omelia (30-09-2012) |
Ileana Mortari - rito romano |
Chi non è contro di noi, è per noi Il brano evangelico odierno si colloca nella seconda parte del testo di Marco, scandita dagli "annunci" della Passione e da una sorta di "catechesi" che Gesù sviluppa attraverso dialoghi con i suoi dicepoli ed insegnamenti specifici per la vita della comunità. I vv.38-41, in particolare, si riferiscono ad una situazione vissuta già da Mosè intorno al 1200 a.Cr., e poi, nel 1° sec. d.Cr., da Gesù e i discepoli e successivamente dalla comunità cristiana cui Marco rivolge il suo messaggio: l'accorgersi da parte di un credente che i doni di Dio vengono fatti anche a chi non appartiene al proprio gruppo di appartenenza, ed esserne irritati e gelosi. L'episodio dell'Antico Testamento ci viene presentato dalla 1° lettura di oggi, tratta dal Libro dei Numeri. Per consentire a Mosè di condividere con altri la assai pesante responsabilità di guida del popolo ebraico, il Signore Dio prende lo spirito di Mosè e lo infonde su settanta anziani (una sorta di consiglio, con funzioni di amministrazione della giustizia, di aiuto e garanzia per la gente), i quali cominciano a profetizzare. Ma lo spirito si posa pure su due uomini qualsiasi, che non avevano alcuna investitura ufficiale, e anch'essi profetizzano nell'accampamento. A Giosuè, che vorrebbe impedirlo loro, Mosè risponde: "Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!" (Num.11,29), auspicio questo che avrebbe trovato la sua realizzazione nel giorno della Pentecoste cristiana, come leggiamo in Atti 2, 16-21. La situazione analoga che troviamo nel vangelo risale all'esperienza storica di Gesù; Giovanni, fratello di Giacomo, denominato"figlio del tuono" (Mc.3,17) per il suo irruente zelo religioso, si mostra degno del soprannome, quando riferisce al Maestro (facendosi portavoce anche degli altri discepoli) che hanno visto un tale che scacciava i demoni nel suo nome, e glielo hanno impedito, perché non appartenente al loro gruppo. La risposta di Gesù richiama quella di Mosè: "Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi, è per noi" (vv.39-40). Il Signore dunque ritiene che il suo messaggio possa estendersi anche per mezzo di coloro che, pur non appartenendo al gruppo dei suoi discepoli, sono in sintonia con esso. Se Marco, e con lui Luca (cap.9, 49-50) hanno voluto riportare questo episodio, è perché nelle comunità cristiane primitive si poneva proprio questo problema: il richiamarsi a Gesù e al suo nome, pur non appartenendo alla Chiesa di Cristo. E attraverso questa pagina evangelica i credenti vengono assicurati che un fatto di tal genere non solo non è negativo, ma deve costituire per loro un motivo di grande gioia nel vedere la magnanimità del Signore nel dono del suo Spirito. Com'è noto, la Parola di Dio ha qualcosa da dire a tutti i credenti di tutte le epoche e anche la situazione sopra descritta si ripresenta puntualmente in ogni fase della storia della Chiesa; su di essa ha riflettuto la teologia, specie nel sec.XX, che ha visto una proposta del grande teologo Karl Rahner (1904-1984) di notevole interesse: quella del "cristianesimo anonimo"; essa risponde alla necessità di coniugare i passi della Scrittura che affermano possibile la salvezza solo in Cristo e nella Chiesa (come ad esempio"i> "Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato" -Marco 16,16; e poi Giov.3,5; Atti 4,12; 1° Tim.2,5 ) con quelli che dichiarano l'universalità dellasalvezza stessa, quale ad es.: "Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" (1° Tim. 2,4); e poi anche Gen.12,3; Is.56,7; 66,18-21; Luca 3,6; Atti 2,39; Tito 2,11. Cioè: se da un lato le vie ordinarie per la salvezza sono la fede in Cristo, il battesimo e l'appartenenza alla Chiesa, dall'altro la teologia ha sempre ammesso che Dio può salvare, attraverso modi noti a Lui solo, anche al di fuori di tali vie. Secondo Rahner un uomo può essere cristiano, cioè partecipe del regno di Cristo, anche senza saperlo o senza volerlo esplicitamente. La grazia di Cristo infatti può operare la salvezza pure in chi, senza sua colpa, non appartiene sociologicamente alla Chiesa, oppure non ha conosciuto la Rivelazione cristiana e segue un'altra religione o, addirittura, ritiene di doversi dichiarare ateo; essa opera tutte le volte che una persona agisce con onestà intellettuale in nome del Bene e della Verità. E' stata la grande svolta del Concilio Vaticano II° che ha consentito di recepire a livello dottrinale tale posizione, come si può vedere dalla "Lumen Gentium", n.16: "Quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, in vari modi sono ordinati al Popolo di Dio........Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e che tuttavia cercano sinceramente Dio, e coll'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna." (cfr. anche "Gaudium et spes", n.22 e Ad Gentes, n.7); questa è la risposta della Chiesa a quell'inquietante interrogativo circa la "salvezza degli infedeli giusti" che si è posto il grande Dante Alighieri nella sua "Divina Commedia" e con lui molti altri lungo l'intera storia del cristianesimo. Credo che tutti noi, chi più chi meno, abbiamo incontrato nella nostra vita persone che corrispondono a quanto detto sopra: uomini e donne, giovani e meno giovani dediti ad attività di solidarietà, di lotta per la giustizia, di difesa dei diritti umani, di attenzione agli ultimi e ai sofferenti, di condivisione con i meno fortunati; e tutto questo magari con passione e impegno ben maggiori di quelli di tanti credenti! Basti pensare al grande Mahatma Gandhi, al medico americano Thomas Dooley, al sindacalista Chico Mendes, al piccolo pakistano Iqbal Masih....... Certo, deve trattarsi di persone che effettivamente vivono quanto indicato da Atti 10,35 ("Chi teme Dio e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a Lui accetto"); e poi, ricordando il "chi non è contro di noi" (v.40), deve trattarsi di persone che non combattano positivamente la fede e i suoi valori, che non si mettano cioè volontariamente contro Dio. Ma, riscontrate queste due condizioni, i praticanti e quanti sono impegnati nella comunità cristiana sono chiamati a riconoscere e ad apprezzare tutto il positivo realizzato da coloro che Rahner ha definito "cristiani anonimi", e ad essere ben consapevoli di non avere "l'esclusiva" della sequela di Cristo. Il che non significa certo mettere in secondo piano o addirittura vanificare l'impegno dell'annuncio e della chiamata a convertirsi al Vangelo, come qualcuno potrebbe temere, poiché: - la testimonianza e l'annuncio sono parte integrante dell'autentica fede cristiana, che non può tacere l'immensa gioia di aver incontrato il Signore; e, se io non nascondo il fatto di essere cristiano convinto e praticante, ogni gesto di amicizia, di aiuto, di scambio che compio è annuncio, così come ogni parola e gesto di Gesù lo era, prima ancora che Egli dichiarasse: "Io sono il Figlio di Dio" o "Dio è Uno e Trino"; - dalla Scrittura emerge chiaramente il "dovere" dell'annuncio: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura" (Marco 16,15); "Non è per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!" (1° Cor. 9,16);"Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi...con dolcezza e rispetto e con una retta coscienza" (1 Pt.3,15-16) - il primo appello di Gesù è alla "conversione del cuore", che è possibile e doveroso per tutti, anche se questo non giunge a comportare un cambiamento della propria religione, per passare al cristianesimo; Dio solo legge nei cuori e vede la sincerità o meno della fede. Come ha scritto tempo fa Padre Franco Cagnasso del Pime, "se saprò convertire anche e prima di tutto il mio cuore, allora il musulmano che vive accanto a me capirà che Gesù non è un'incomprensibile e inaccettabile formula teologica nella mia mente, ma la vita di Dio nel mio cuore. E anche se non cambierà la sua religione, cambierà il suo cuore, diventando più aperto, tollerante, libero." A questo proposito risulta particolarmente emblematica quella grande pagina di Matteo, cap.25, dove si dice che nel giorno del giudizio universale molti si chiederanno la ragione di una ricompensa nel nome di Cristo, che essi in vita non hanno mai conosciuto; la risposta è: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me!" (Mt.25, a.40); mentre viceversa la cosa contraria verrà detta a quelli che si riterranno a posto, in quanto ufficialmente appartenenti alla Chiesa di Cristo, ma che nei fatti non hanno messo in pratica il Suo messaggio: "Via, lontano da me, maledetti...perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare.....ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me" (Mt.25, vv.41-45 passim). Perciò S.Agostino poteva dire: "Molti di quelli che sembrano essere fuori della Chiesa sono dentro, molti di quelli che sembrano essere dentro sono fuori." |