A chi è come loro
- La Parola di oggi ancora ci sospinge alla contemplazione del sogno di Dio sull'umanità: "Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda" (Gen 2,18). Dio ha creato l'uomo e la donna pensandoli come compagni di viaggio, complici, confidenti... il desiderio di Dio è la comunione profonda fra gli esseri umani, fatti "a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza" (Gen 1,26). Nostra, di chi? Di un Dio che è comunione d'amore fra Padre, Figlio e Spirito. E che imprime nella sua creatura più alta il sigillo dello stesso mistero di comunione, richiamo inscritto nel cuore dell'uomo, sua identità e aspirazione, nostalgia capace di muovere vite e storie verso la responsabilità dell'incontro. L'essere umano non è fatto per la solitudine... la vita è occasione data per uscire da se stessi e intrecciare il proprio percorso con quello dell'Altro e, in Lui, di ogni altro, fratello al di là di qualunque differenza o sofferta lacerazione... Dentro questo sogno di comunione dimora la grandezza dell'incontro dell'uomo e della donna. Mistero originario, che colma l'essere umano di stupore e di gioia: "Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne" (Gen 2,23). Ce lo ricorda anche Gesù nel Vangelo: "Dall'inizio della creazione ‘li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola' " (Mc 10,6-7). Certo, il piano di Dio è grandioso... Incoraggia e dona respiro... Chi non desidera sconfiggere la solitudine? Chi non desidera amare ed essere amato? Umilmente, accogliamo però tutta la distanza che spesso c'è tra questa Parola originaria e le traduzioni che le nostre vite scrivono, non di rado deturpando la bellezza del sogno. E' fin troppo facile per noi, figli del nostro Occidente e della sua cultura che esalta l'uomo, la sua dignità, i suoi diritti, la sua libertà di scelta... fino a farne un assoluto che si chiude ad ogni altra interpretazione dell'esistenza; che assume la ricerca del piacere e il provvisorio come i criteri fondamentali della relazione di coppia; che getta nello stesso calderone indistinto libertà sessuale, coppie omosessuali, diritto alla procreazione e quant'altro... E' fin troppo facile per noi emettere giudizi di fronte a culture diverse che esprimono altre chiavi di lettura della vita e altri modelli di relazione sociale, anche di relazione fra uomo e donna. In quella parte di Africa che un po' conosciamo il matrimonio è ancora fondamentalmente l'istituzione che regola la convivenza sociale: ci si sposa non per scelta d'amore, ma perché la donna ha bisogno del sostegno dell'uomo e l'uomo dipende dalla donna per l'organizzazione concreta della vita e della casa e per la procreazione dei figli. E sono le famiglie d'origine a decidere il futuro formarsi di un nuovo nucleo famigliare, con tutta una serie di obblighi reciproci, di convenzioni sociali, di regolamentazioni economiche (dalla dote, alla coabitazione nella famiglia dello sposo, al diritto riconosciuto all'uomo di scegliere altre mogli per la gestione della famiglia allargata...). Un contesto in cui è normale che la donna sia succube dell'uomo fino al punto di essere picchiata e i figli lo siano dai genitori... Un po' si resta scandalizzati: e l'amore, la scelta reciproca, la condivisione, il progettare insieme il futuro... tutto ciò che per noi "sembra" acquisito... dov'è tutto questo?
Anche nella nostra periferia di città camerunese, dove i giovani sembrano inseguire una maggiore libertà negli affetti, i rapporti sono ancora vincolati dalla disponibilità di denaro. Per cui la ragazza accetta di stare con un ragazzo se lui, regolarmente, la rifornisce di quei prodotti di cui lei pensa di aver bisogno, dal credito nel cellulare all'olio per ungere il corpo. Facile giudicare e parlare di mercificazione dei sentimenti... di una emancipazione che è ancora una forma di schiavitù... ma quando l'orizzonte in cui ci si muove è quello della precarietà e della povertà diventa difficile entrare in un'altra prospettiva di valore. Allora per tutti, a qualunque cultura si appartenga, è necessario restare ancorati al disegno di comunione di Dio, invocando di comprenderlo, cercando di crescere in umanità e in capacità di bene. La Parola ci rivela chi siamo, tiene alto l'orizzonte, ci invita a camminare per diventare sempre più ciò che siamo, senza arroganza e pregiudizi, decisamente fuori luogo rispetto alle nostre approssimazioni... Tutti creati ad immagine di Dio e tutti in divenire per liberare in noi questa somiglianza. - Il Vangelo si chiude con un'immagine molto bella: Gesù attorniato di bambini, che si lascia toccare, li prende in braccio e li benedice. E' una di quelle immagini che assumono un'evidenza limpida in alcuni angoli di mondo. Nella "nostra" Africa i bambini sono numerosissimi, vivaci, sorridenti, sempre per strada, i più grandicelli a prendersi cura dei piccoli... Sono i primi a vincere la diffidenza che sorge verso il diverso, il "nazara" (bianco)... i primi che si avvicinano, toccano e si lasciano toccare, curiosi... che salutano urlando anche da lontano, che osano fare domande... Non è difficile credere che il viandante Gesù, nella sua Terra, si sia trovato spesso in situazioni simili... e ne abbia goduto, così come, ogni volta, è una gioia per noi... E Lui, il Maestro, si è lasciato ammaestrare da questi bambini, arrivando a dire: "Chi non accoglie il Regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso" (Mc 10,15). Per accogliere il dono della comunione con Gesù occorre fidarsi, vincere la paura, lasciarsi avvicinare e toccare, osare le domande vere con l'onestà dei bambini... perché "a chi è come loro appartiene il Regno di Dio" (Mc 10,14).
Non è poesia... è lo stile evangelico con cui aprirsi all'altro e alla Vita.
Riflessione di Anna ed Emanuela, missionarie laiche in Cameroun, ausiliare dell'arcidiocesi di Milano.
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