Omelia (07-10-2012) |
Ileana Mortari - rito romano |
L'uomo non separi ciò che Dio ha congiunto Prosegue, con la pericope evangelica odierna, la serie di insegnamenti che Gesù offre alla folla e ai discepoli circa varie questioni e problemi che possono nascere nella vita e nella comunità cristiana, serie iniziata in Luca 9,33. L'occasione è data, in questo caso, da una domanda-trabocchetto dei farisei, che gli chiedono: "E' lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?" (v.2); che il ripudio fosse ammesso dalla legislazione mosaica era cosa pacifica; non si era d'accordo invece sull'interpretazione dell'espressione "se il marito ha trovato in lei qualcosa di vergognoso" (Deut.24,1); che cosa poteva essere definito tale, così che "il marito scriva per lei un libello di ripudio (o atto di divorzio) e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa" (Deut.24,1)? Sulla questione si contrapponevano soprattutto due famose scuole rabbiniche: quella, assai rigorista, di Rabbì Shammai, che ammetteva la liceità del divorzio solo in caso di adulterio della donna, e quella, più lassista, di Rabbì Hillel, che aggiungeva al primo grave motivo "qualsiasi altra cosa che potesse dispiacere al marito"; ad esempio: "quando l'uomo non trovava più qualcosa di bello e di gradito in lei"; o anche se la moglie non gli faceva da mangiare regolarmente; se sbagliava a cuocere la minestra; se bruciava una vivanda.....; addirittura poteva bastare un qualunque difetto della donna, anche involontario, o la noia di vedere tutti i giorni la stessa faccia! Secondo Rabbi Akkiba poi una ragione sufficiente per il ripudio era perfino il fatto di aver trovato un'altra donna più bella. Ora, poiché pare che a quel tempo la maggior parte della gente seguisse l'orientamento del grande Hillel e della sua scuola, praticamente non c'era moglie che non potesse venire legalmente allontanata con un atto di ripudio! Si è detto che i farisei, come altre volte, pongono questa domanda a Gesù "per metterlo alla prova" (v.2), cioè per vedere da che parte si schiera circa la questione, o forse perché prenda posizione di fronte al re Erode, che aveva ripudiato la prima moglie per sposare Erodiade, cosa già fortemente biasimata da Giovanni Battista (cfr. Marco 6,18); se infatti la Legge consentiva quanto sopra riportato dal libro del Deuteronomio, persisteva in Israele una corrente profetica che condannava vivamente il divorzio, come si vede dal seguente passo di Malachia: "Non fece Dio un essere solo dotato di carne e soffio vitale?...Custodite dunque il vostro soffio vitale e nessuno tradisca la donna della sua giovinezza. Perché io detesto il ripudio, dice il Signore Dio" (Mal.2,15-16) Ma Gesù, come tutte le altre volte in cui è coinvolto in un dibattito, supera le strettoie del legalismo; non risponde direttamente alla domanda; osserva piuttosto che la prescrizione di Deut.24,1 circa l'atto di ripudio è stata resa necessaria "dalla durezza del cuore" degli Ebrei, espressione classica dell'A.T. per indicare l'insensibilità della coscienza, la fragilità peccatrice, l'ostinata infedeltà a Dio. "Ma all'inizio della creazione, - prosegue il Maestro - Dio li creò maschio e femmina...e i due saranno una carne sola....L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto" (vv. 6-8). Ecco la risposta di Gesù: Egli recupera il progetto originario del Creatore, mirabilmente descritto nella prima lettura di oggi, tratta dal libro della Genesi. Per ovviare alla solitudine dell'uomo, il Signore Dio crea un essere del tutto diverso dagli altri, tratto dalla carne stessa di Adamo; quindi c'è un legame profondo tra i due, che li distingue nettamente sia dal mondo animale che da quello divino e nello stesso tempo li accomuna in modo tutto particolare, tanto che, quando Dio conduce la donna all'uomo, questi manifesta uno stupore gioioso perché riconosce l'altra come parte di sé, della sua stessa natura, ben diversa da quella degli animali; e nell'incontro con lei nasce anche la possibilità della comunicazione: per la prima volta infatti Adamo parla! "Per questo - prosegue il testo di Genesi citato da Gesù - l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne" (Gen.2,24). E' da notare che i due verbi ebraici usati per indicare l'unione tra uomo e donna non significano solo l'unione sessuale, ma molto di più: dicono l'aderire ad una persona con tutto se stesso, in un rapporto di profonda amicizia e solidarietà; è la reciproca donazione totale, fino ad essere una cosa sola, una sola persona, in un'unità che non si spegnerà neppure con la morte, perché "forte come la morte è l'amore" (Cant.8,6) Nella sua risposta il Nazareno aveva citato anche Gen.1,27: "Dio creò l'uomo a sua immagine, maschio e femmina lì creò"; cioè: la coppia umana in quanto tale è "immagine di Dio"; nella sua unione essa esprime addirittura quella realtà dell'alleanza che è il dono più grande fatto da Jahvè agli uomini e non a caso la predicazione profetica richiamava spesso questa dimensione: "Ti farò mia sposa per sempre, - dice ad esempio Dio ad Israele in Osea 2, 21-22 - ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore". La volontà creatrice di Dio cui Gesù si rifà è creare l'uomo a sua immagine come maschio e femmina e quindi fondare l'unità indissolubile del matrimonio: "L'uomo dunque - conclude Gesù - non separi ciò che Dio ha congiunto" (v.9) Questa è la visione del matrimonio che la comunità delle origini aveva dedotto dall'insegnamento del Nazareno e che la differenziava nettamente dal giudaismo; questa è la dottrina che la Chiesa ha poi sempre annunciato e insegnato; ma - viene spontaneo chiedersi - come riproporla oggi, in una società in cui negli ultimi dieci anni separazioni e divorzi sono aumentati in Italia più del doppio? E dove alcuni anni fa solo l'11% degli italiani si è dichiarato d'accordo con il papa Giovanni Paolo II° circa la negatività del divorzio? Una risposta la possiamo trovare nella stessa pagina evangelica; è da notare infatti che l'insegnamento sul matrimonio non è dato da Gesù nella prima predicazione in Galilea al tempo delle parabole (Mc.4), né insieme alle controversie con i farisei (Mc.7), ma solo dopo che Egli è stato riconosciuto come Messia, come Figlio dell'Uomo chiamato al dono di sé fino alla croce (cfr. Marco 8, 30-32, vangelo della 24° domenica B); come dire che tale insegnamento va inserito nella globale proposta della vita cristiana, che comporta anche difficoltà, sofferenze, "croci". Nel caso specifico dei coniugi, queste consistono nella fatica di trovare sempre accordo, comprensione e disponibilità l'uno verso l'altra; di ricominciare ogni volta che qualcosa si incrina o addirittura si spezza. Ma il Cristo ha più volte ripetuto di essere insieme a noi, con la sua grazia, con il dono del suo Spirito. Scrive il padre Cantalamessa in un suo commento a questo passo: "Gesù fece il suo primo miracolo, a Cana di Galilea, per salvare la felicità di due sposi. Cambiò l'acqua in vino e tutti alla fine si trovarono d'accordo nel dire che il vino servito per ultimo era stato il migliore. Gesù è pronto anche oggi, se lo si invita alle proprie nozze, a operare questo miracolo e a far sì che il vino ultimo - l'amore e l'unità degli anni della maturità e della vecchiaia - sia migliore di quello della prima ora". |