Omelia (14-10-2012) |
don Alberto Brignoli |
E se il giovane ricco fosse andato in missione? Ci attendono tre domeniche, in questo mese di ottobre dedicato alle missioni, nelle quali la lettura del Vangelo di Marco ci presenta tre incontri personali con Gesù. Tre incontri che, a diverso titolo, rappresentano una svolta nella vita di chi si rivolge al Maestro per chiedergli "qualcosa". Quest'oggi è la volta di un tale, solitamente descritto come "il giovane ricco" che si avvicina a Gesù per chiedergli nientemeno che l'accesso alla "vita eterna". Domenica prossima sarà la volta di due dei suoi discepoli, Giacomo e Giovanni, che si avvicinano a lui per chiedergli di "sedere accanto a lui nella gloria del suo regno". Infine, Timeo, il famoso cieco di Gerico, che chiederà al Figlio di Davide di "avere pietà di lui", restituendogli il dono della vista, come simbolo del dono della fede. Tre incontri che - come dicevo - non lasciano indifferente chi li vive, e li vediamo come una progressione che parte dal rifiuto della sequela di Cristo (il giovane ricco), passa attraverso un processo di comprensione della figura di Gesù come Re della Gloria ma nell'ottica della Croce (i due discepoli), per giungere alla sequela incondizionata di Gesù da parte di chi lo ha scoperto come colui che ha avuto misericordia della sua condizione (il cieco di Gerico). A mio avviso, è molto interessante leggere in chiave missionaria questi tre incontri, perché ognuno di essi ci può aiutare a comprendere un aspetto della vita del missionario, che non può essere tale se non è innanzitutto un "discepolo" di Gesù, uno che si mette alla sequela del Maestro prima ancora di preoccuparsi di esserne un annunciatore. E ciò, assume un significato del tutto particolare, in questo Anno della Fede che da poco è stato inaugurato. Anche attraverso lo slogan "Ho creduto, perciò ho parlato", con il quale la Chiesa Italiana ha voluto concretizzare la riflessione intorno all'attuale Giornata Missionaria Mondiale, siamo invitati a considerare l'opera di evangelizzazione e di testimonianza innanzitutto come risposta ad una personale e comunitaria esperienza di Dio che coinvolge ogni credente chiamato ad annunciare il Vangelo "ad gentes". Iniziamo da questo piccolo "fallimento" nell'opera evangelizzatrice di Gesù che è l'incontro con il giovane ricco. L'incontro fallisce proprio perché egli è ricco, e le sue ricchezze sono per lui più importanti di ogni altra cosa, anche di un Dio che gli può cambiare la vita. E dire che si trattava di un giovane in gamba, di un giovane "modello", come diremmo noi! Il suo desiderio di "fare qualcosa per avere la vita eterna" non era una richiesta strana che proveniva da un momento di particolare fervore mistico (come magari spesso accade): faceva parte di un cammino di fede vero, profondo, fatto di osservanza della Legge di Mosè sin da piccolo. Lo sguardo affettuoso di Gesù nei suoi confronti è eloquente: aveva capito di avere davanti a sé qualcuno con cui poteva osare, nel richiedere radicalità, per cui gli chiede di rinunciare a tutti i suoi beni per avere un tesoro nei cieli, invece che qui sulla terra. Una volta fatto questo, l'accesso alla vita eterna gli sarebbe venuto dalla sequela di Gesù. Ma i suoi beni, i suoi averi, le sue ricchezze avevano per lui un'importanza maggiore: gli davano più sicurezza di quanta gliene dava Dio, erano per lui (come per l'ebreo medio di allora) il segno di una benedizione di Dio che non era possibile rinnegare. Questa fiducia nei beni terreni come sicurezza per la nostra vita di fede, letta in chiave missionaria mi fa pensare a un tema particolarmente delicato e sempre molto attuale nel mondo missionario, ovvero quello dell'uso dei beni materiali e delle risorse economiche nei luoghi di missione. Ogni missionario lo può testimoniare: la generosità della gente verso tutto ciò che è opera di promozione umana, sociale e religiosa nei territori di missione è veramente straordinaria, in molti casi addirittura commovente. Fa riflettere come spesso sia più facile raccogliere fondi per finanziare opere legate alle missioni che per l'ordinaria amministrazione di una parrocchia. Dico questo per dire quanta generosa ricchezza viene riversata nelle mani dei missionari. Ma insieme ad essa, e mai da essa disgiunta, quanta responsabilità! Perché la ricchezza, per tutti, anche per l'uomo e la donna di grande fede, rimane un interrogativo con il quale fare i conti non è affatto facile. Il rischio di pensare che "senza i soldi non si può fare nulla" e che "con i soldi si può fare tutto" è sempre molto grande. Con i soldi in missione si può fare molto, è vero: ma non tutto. E comunque ci sono molte cose che si possono e si devono fare, anche in missione, pur senza avere risorse economiche alle spalle. Una comunità di credenti non la costruisci con i soldi; una rete di relazioni umane vere laddove la gente ha sempre visto solamente situazioni di violenza non la costruisci con i soldi. Un calore umano nei confronti di bambini abbandonati per strada non lo costruisci con i soldi. Queste cose un missionario le sa bene. Quello che invece a volte corriamo il rischio di dimenticare è lo stile con cui dobbiamo essere presenti nelle situazioni di povertà anche attraverso la gestione delle ricchezze. Se le ricchezze materiali per un missionario diventano ciò su cui fondare la propria azione pastorale, cade nella stessa trappola del giovane ricco: non è più capace di mettersi alla sequela di Gesù come suo discepolo, perché i suoi pensieri e le sue preoccupazioni sono assorbiti da altro. Se il giovane ricco fosse partito per la missione in risposta ad un invio del Maestro, avrebbe senz'altro basato la sua opera di evangelizzazione su ciò che egli riteneva la sua vera certezza: la sicurezza economica. Ma a condurre la missione, non sarebbero certo stati i suoi beni, a cui peraltro il Maestro gli chiede subito di rinunciare, soprattutto mentalmente. Non posso basare la mia azione missionaria solo sulla ricerca di fondi o sulle prospettive che la loro disponibilità mi offre, perché il giorno in cui questi vengono a mancare crollerebbero pure tutte le motivazioni della mia azione. Non posso avere un atteggiamento "colonialista" attraverso il quale in terra di missione mi posso permettere di fare e costruire veramente di tutto (e nessuno pone in dubbio la finalità di bene con cui questo si fa) solo perché ho tanti beni a disposizione, perché questo alimenta sempre più una mentalità di dipendenza nelle persone e nelle chiese a cui sono mandato, le quali si sentiranno sempre con le mani legate e condizionate dalla nostra disponibilità di fondi, anche e soprattutto quando noi dobbiamo, per qualsiasi motivo, andarcene da una missione. Non posso dare ad una chiesa sorella del sud del mondo il mio esempio di chiesa ricca come modello da imitare (ammesso che si tratti di un modello), perché questo crea in essa un senso di frustrazione proprio perché non riuscirà mai ad avere i mezzi che noi abbiamo. A volte capita di sentirci dire, dal clero delle Chiese a cui siamo inviati, che loro sono visti come "cattivi" dalla gente rispetto a noi missionari perché loro non aiutano la gente con i beni come facciamo noi, solo perché non li hanno: e credetemi, queste cose fanno male più di molte altre delusioni pastorali... Le ricette in materia credo non le abbia nessuno. Di certo, il Vangelo di oggi ricorda a tutti, e in modo particolare a noi missionari o alla gente che opera in situazioni di povertà e miseria, che non sono i beni materiali a darci la certezza della buona riuscita della nostra azione missionaria, perché spesso ci allontanano dalla ricerca del vero tesoro che è Cristo. Forse, un periodo di crisi economica come quello che stiamo vivendo può rappresentare, in questo aspetto, un'opportunità di riflessione. La logica del distacco, della presa di distanza dai beni materiali per farne partecipi in maniera costruttiva tutti gli impoveriti del mondo, è quella logica che il Vangelo di oggi ci indica, ovvero quella per cui liberarci dei beni a favore dello sviluppo dei popoli e della dignità dei poveri ci permette di ritrovarci più ricchi di prima. Ricchi di relazioni umane, di contatto con la gente, di crescita nella vita di fede genuina e non condizionata dai beni. Questa è una ricchezza che non rende molto, che non è redditizia e che non è certo un buon investimento per il futuro: ma sicuramente è una ricchezza che salva, perché dà quella vita eterna che il giovane ricco, discepolo e missionario fallito, aveva cercato nella sicurezza dei propri beni materiali. |