Omelia (14-10-2012)
Gaetano Salvati
A mani vuote

Oggi la Parola di Dio ribadisce "efficacemente" (Eb 4,12) che l'uomo, nonostante la sua fallibilità, è per natura capace di accogliere Dio, e divenire, per grazia, la creatura in cui risplende il mistero del Verbo fatto storia. La grazia, la possibilità di aderire alla vita nuova, suppone la partecipazione della natura; in questo senso, l'uomo, capacità di decisione, libera apertura all'Altro, è chiamato ad esercitare l'accoglienza o il rifiuto di Dio. Il Maestro, nel vangelo, ci indica il cammino per farci accogliere la Sua autocomunicazione, la salvezza elargita ad ogni esistenza, e chiarisce il valore del nostro discepolato. Innanzitutto, davanti all'entusiamo di un tale che corse incontro al Signore per ottenere la vita eterna (Mc 10,17), vi è l'invito al silenzio, la cui autenticità è percepibile solamente nella disponibilità a rimanere a mani vuote. La parola di Gesù, infatti, "vendi quello che hai" (v.21), non si riferisce alle ricchezze possedute dall'anonimo candidato, quanto agli eccessi della vita, alle labili soddisfazioni, ancora, a tutto ciò che impedisce un rapporto con Lui. "A queste parole", san Marco narra che il tale "se ne andò rattristato" (v.22), forse perché desiderava più essere ammirato che essere effettivamente incontrato e salvato da Gesù; oppure, perché possedendo molti diversivi, non è stato in grado di ascoltare quanto il Maestro "l'amò" (v.21), e per questo non in grado di rinunciare perché inadeguato ad apprezzare e preferire la scelta della sequela. La povertà (rimanere a mani nude), invece, è la condizione necessaria nella comunità per seguire Cristo Signore, poiché essa è la forza plasmatrice che genera concordia, pace, unità: elementi che non distolgono il nostro pensiero dalla sorgente della vera vita. Essere poveri, perciò, significa confidare nell'intervento del Salvatore che perfeziona, senza modificare la natura, la nostra intima tendenza ad incontrare Dio. In ultimo, spogliarsi di tutto per farsi raggiungere da Cristo, denota che, grazie alla Sua iniziativa, siamo in cammino (discepoli) verso la strada della salvezza, frutto del Suo dono.
Certamente, prima o durante il percorso dietro il Signore, possiamo cadere, come "il tale" del vangelo, in alcuni eccessi. A volte, siamo precipitosi nel domandare e nel rispondere alla chiamata del Signore: allora, il Maestro consiglia di pregare (rimanere in silenzio) per discernere la responsabilità del discepolato; difatti, per seguirLo non basta risponderGli con belle parole: all'amore dell'origine bisogna corrispondere con l'amore sincero. Se, invece, tormentati dal peccato, ci sentiamo inadeguati a vivere Cristo, forse perché crediamo che la natura è una zavorra che non ci proietta verso il cielo, Egli mostra che nel Suo nome, liberamente accolto, la natura raggiunge la pienezza di senso, l'incontro definitivo dell'avvento divino con l'esodo della creatura. Infine, se consideriamo il peso della croce come un segno di sconfitta, il Maestro dice: "vieni, seguimi" (v.21), indice che il cammino verso la perfezione eterna è ancora lungo, ma dietro di Lui, ogni difficoltà, ogni ostacolo, ogni croce, è varcata con gioia e speranza. Amen.